«La nostra vita con la Sla: dall’amore la forza per lottare»

L’INTERVISTA. Il sindaco di Selvino, Diego Bertocchi, mancato martedì aveva scoperto la malattia a inizio 2019. La moglie Giulia: ci siamo aggrappati alla nostra unione di coppia.

Questa è un’intervista rimandata da un sogno. Una delle tante idee, sicuramente la più azzardata, alle quali Diego Bertocchi si è aggrappato resistendo sino alla fine. L’intervista era già fissata per settembre, per raccontare la vita nuova di una famiglia stravolta dalla Sclerosi laterale amiotrofica. Il «sindaco con la Sla», primo cittadino di Selvino nel 2014 a 26 anni, rieletto nel 2019 e rimasto alla guida del paese nonostante il male avanzasse, s’era lasciato convincere dalla moglie Giulia Parma: aprire la porte di casa, mostrare come si vive fra terapie, ausili per comunicare e muoversi, con una moglie che ti assiste e non rinuncia al suo lavoro di medico di medicina generale, può lasciare un segno. Soprattutto a chi è nella tua stessa situazione.

Allora la coppia Bertocchi-Parma si sarebbe raccontata, ma nel frattempo s’è messo di mezzo l’ultimo sogno del primo cittadino di Selvino: presentarsi in lista anche alle elezioni del 2024. E per renderlo ufficiale «sarebbe meglio – comunicarono a ridosso della data stabilita – riprogrammare il tutto verso inizio marzo, in modo tale da avere idee chiare anche sull’aspetto politico», decisero Diego e Giulia.

Allora proviamo a fare quest’intervista oggi, purtroppo e con dolore a una voce soltanto. Sarà la sua Giulia a raccontare di lui, dall’inizio della loro storia d’amore all’ultimo attimo insieme, prima che una crisi improvvisa legata all’aggravarsi della malattia glielo portasse via, martedì mattina nella loro casa, a 35 anni.

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Giulia, partiamo dall’inizio. Quando vi siete conosciuti?

«Nell’estate 2016 e il 22 settembre 2019 ci siamo sposati. Carletto (così in famiglia chiamano affettuosamente il figlio di 5 anni che porta anche il nome del nonno paterno, Carlo Emidio, ndr) è nato nel gennaio 2018».

Sempre nel 2019 è arrivata la diagnosi.

«Sì, i primi sintomi li abbiamo notati a gennaio, una mano ipostenica (l’ipostenia è l’indebolimento del tono muscolare o di quello nervoso, ndr). Si ipotizzava potesse essere un’infiammazione del tunnel carpale, ma per scrupolo abbiamo fatto una elettromiografia che aveva rilevato una sofferenza dei cordoni midollari anteriori già avanzata, anche se lui clinicamente stava bene. Il referto è stato abbastanza devastante e da lì ci siamo attivati, con la diagnosi conclamata che è stata fatta all’Istituto Auxologico di Milano dal professor Silani, dopo un mese e mezzo di ricovero per effettuare tutti gli esami».

Cosa vi siete detti?

«Al momento della diagnosi, essendo la Sla rarissima nei giovani (ai tempi Bertocchi aveva 31 anni come la moglie, ndr) ci siamo sentiti spiazzati. All’inizio è stato prezioso un supporto psicologico, per metabolizzare la diagnosi. Poi ci siamo detti: cerchiamo di ottimizzare la nostra resilienza».

La malattia o schiaccia o diventa una sfida. Quando il suo peso si è trasformato per voi in una sfida?

«Da subito, tanto che ci siamo sposati. Era il 22 settembre, pochi mesi dopo la diagnosi. Quando siamo arrivati all’altare il parroco, don Franco Cortinovis, piangeva come una fontana. Poi s’è consolato e siamo partiti con la celebrazione. Lui era uno dei pochi ai quali avevamo detto della malattia: allora non c’erano segni evidenti e Diego è stato stabile per un anno e mezzo».

Qual è stato il vostro scudo, ciò che vi ha protetto dalla disperazione?

«Ci siamo aggrappati alla nostra unione di coppia. Lui è stato sempre stupendo, non ha mai fatto pesare niente, ringraziava sempre di tutto. Poi il supporto dei nostri tanti amici: altro che sparire, sono sempre venuti a trovarci e noi andavamo da loro. Inoltre mia suocera è stata fondamentale, anche per la gestione della casa e come presenza preziosa con Carlo».

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Anche in questi giorni.

«Sento tanto affetto, tanta vicinanza. Moltissima gente sta arrivando a rendere omaggio a Diego, è un bel riconoscimento al suo impegno. Poi tanti miei pazienti mi chiamano. I nostri amici. Mi stanno sostenendo tutti, sono tanto cari. Ieri (martedì, ndr) mi hanno invaso la casa. Ci saranno state 18 persone e a un certo punto Carlo mi ha chiesto: “Ma d’ora in poi sarà sempre così qui?”. L’avevamo preparato, ma è una bambino piccolo... Mi ha chiesto come faremo ora senza la carrozzina motorizzata: lui ci saliva sopra e facevamo le nostre passeggiate sulla ciclabile o da Selvino verso Amora, tutte le domeniche con il cane».

Non vi siete mai fermati: nell’impegno amministrativo così come nel ménage familiare, vacanze comprese. Cosa vi ha aiutati nella gestione della malattia?

«Una buona organizzazione e alcuni aiuti. La Sla stravolge tante cose. Toglie, con tempi diversi caso per caso, la parola, la deambulazione, i movimenti, la deglutizione. Abbiamo attivato l’assistenza domiciliare integrata, anche con la fisioterapia. E di volta in volta sono entrati in casa nostra nuovi ausili, indispensabili per Diego, da ultimo il sintetizzatore vocale per poter comunicare. O la carrozzella motorizzata».

Sono strumenti a cui il malato di Sla accede facilmente?

«Nel nostro caso abbiamo avuto il supporto del centro Nemo di Brescia, conosciuto grazie a una cara amica che ci lavora: la cosa bella è che ti forniscono tutti gli ausili prima che siano necessari. Così Diego aveva imparato a usare il sintetizzatore già prima di perdere la fonazione, comunicava così».

La sua frase più preziosa?

«”Ti voglio bene”: è l’ultima che ha scritto e mi ha detto attraverso il tablet, la sera prima di lasciarci».

In questi anni la Sla non vi ha fermati nemmeno nel lavoro: suo marito è rimasto saldamente al suo posto di sindaco e lei ha continuato l’attività di medico.

«Mi sono laureata nell’estate del 2022 e due settimane dopo ho iniziato a lavorare in ambulatorio a Zogno, poi in Val Serina e da poco sono medico titolare a Serina. Fino a ieri (martedì, ndr) ho avuto la fortuna di non perdere un giorno di lavoro, come Diego con il Comune: stava sempre in contatto con i suoi assessori».

E stava anche formando una lista per le prossime amministrative.

«Sì, stava cercando persone disposte a impegnarsi insieme a lui per il paese. Era ottimista per natura, ci credeva e contava di poter continuare a dare il suo apporto per il bene di Selvino. Non era solo questione di trovare una motivazione per poter andare avanti e combattere la malattia: il motivo principale è sempre stato il bene che ha voluto al paese e alla sua gente».

Per la Sla attualmente non esiste cura e l’esito è purtroppo infausto. Con suo marito parlavate di quando sarebbe arrivato questo momento?

«Sapevamo che poteva arrivare anche in modo estemporaneo e questo epilogo è arrivato, penso per un problema a livello cardio vascolare che gli ha scatenato la crisi, anche perché aveva già manifestato problemi respiratori e l’ultima polmonite, ad agosto, è stata una prova dura. Parlavamo spesso di quando sarebbe arrivata la fine e mi diceva sempre: “Ti prego, non in ospedale” e infatti è successo tutto velocemente, a casa... E aggiungeva: “Dai, tu sei forte, ce la farai, e poi c’è Carlo che ti aiuta”».

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