Le fotografie di chi ha vinto il tumore
«Sono un messaggio di speranza»

Consuelo Gaini, la fotografa di Vigano, ha avuto un carcinoma. Una mostra itinerante con «Cuore di donna».

«Quando fotografo una persona che ha sconfitto una malattia, non mi preoccupo di nascondere i segni del tempo sul suo volto, perché penso che possa andarne fiera. Avrà lo sguardo di chi ne ha passate tante e il sorriso di chi ha superato tutto». Consuelo Gaini, di Vigano San Martino, da sempre legge in modo speciale la realtà attraverso la macchina fotografica. Non è soltanto una professione per lei, ma uno stile di vita. Il tempo e tante esperienze difficili le hanno donato prospettive e obiettivi diversi, come scrive Karl Kraus: «Cogliere con uno sguardo un’immagine del mondo è arte. Ma quante cose entrano in un occhio!».

Sono suoi gli scatti della mostra «Semplicemente donna» promossa dall’associazione Cuore di donna: «Sono stata lieta di poter dare una mano - spiega -, questa iniziativa trasmette un messaggio di speranza a chiunque stia affrontando una malattia, non necessariamente la stessa. Le modelle sono tutte pazienti oncologiche, e con i loro sorrisi esprimono speranza, bellezza e gioia. Ognuna di queste donne ha una famiglia e un progetto di vita che è stato sconvolto e trasformato dalla malattia. Qualcuna mi è venuta a trovare con i suoi bambini. Le donne in genere sono coraggiose e tenaci, sono proprio delle leonesse, devono trovare la strategia per farcela e anche per far quadrare tutti gli impegni, la vita familiare, i figli».

Vestite come ballerine

Nelle immagini, raccolte nel catalogo dell’esposizione, sono vestite di tulle come ballerine e fate, portano sul capo corone di fiori rosa, diversi per ognuna, donate da una fiorista: «Alcune sono state operate tempo fa, altre sono ancora in terapia. Incontrarle è stata un’esperienza bellissima per me. Abbiamo chiacchierato, alcune di loro sono diventate mie amiche. All’inizio erano intimidite, ma ho cercato di metterle a loro agio. Ho tentato di non farle restare in posa per troppo tempo. Chiacchieravamo un po’ e poi scattavo. Non ho cancellato le rughe, non volevamo maschere ma volti veri, con le loro storie piene d’amicizia, di generosità, di sostegno reciproco. Il giorno dell’inaugurazione all’ospedale di Seriate mi sono commossa vedendo quanto appoggio queste donne offrivano a un’amica che in quei giorni era ancora ricoverata dopo un intervento ed era arrivata in carrozzina dalla sua stanza».

La mostra è diventata itinerante: «Viaggiando in molte sedi porta il messaggio dell’associazione Cuore di Donna, che riunisce donne operate di tumore al seno: l’unione fa la forza. Un motto che ho fatto mio, anche se ho dovuto combattere contro una malattia diversa». Anche Consuelo ha dovuto affrontare molte battaglie per se stessa e per la sua famiglia: «Entrambi i miei genitori sono morti di cancro e mia zia per un linfoma. Sono stata vicina a ognuno di loro fino alla fine, e questo mi ha insegnato ad accettare il male, ad avere coraggio e a sopportare il dolore. Anni fa sono stata operata di un tumore al collo, fortunatamente era benigno, ma l’operazione è stata invasiva e ha avuto come conseguenza un’emiparesi del volto che si è risolta solo col tempo, cure e pazienza. Nonostante questo all’ospedale mi sentivo una privilegiata in mezzo a pazienti con patologie ben più gravi». Cinque anni fa invece anche lei ha dovuto lottare con un carcinoma: «Non avevo alcun sintomo, mi sono rivolta a un medico che conoscevo a Padova per un check up e ho scoperto così di avere un nodulo alla tiroide. Non c’erano anomalie negli esami del sangue e se non mi fossi sottoposta a quel controllo, per un mio scrupolo, i medici non se ne sarebbero mai accorti. Ecco perché penso che si potrebbe fare di più per la prevenzione delle malattie. È questa la strategia più importante, soprattutto quando si tratta di tumori che hanno un’ereditarietà e familiarità, senza diventare ipocondriaci, perché è sbagliato cadere nella tentazione opposta e spaventarsi a ogni minima variazione della routine. È importante ascoltare il corpo, anche se, presi da mille impegni, spesso dimentichiamo di farlo».

Conservare un certo ottimismo

Quando Consuelo ha scoperto di essere ammalata, il minore dei suoi due figli aveva dieci anni, l’altro sedici: «Fin dall’inizio - racconta - sono riuscita a conservare un certo ottimismo, fa parte del mio carattere, mi dicevo continuamente che dovevo farmi coraggio e superare quel periodo difficile. Ho incontrato altre donne che avevano subito lo stesso intervento e ce l’avevano fatta, anche questo mi ha aiutato molto. Condividere esperienze può essere davvero prezioso, ecco perché mi sta molto a cuore l’azione di associazioni come Cuore di Donna: contribuisce a mettere in comunicazione donne che hanno vissuto la stessa esperienza e possono aiutarsi a vicenda. Trovo che le persone che hanno dovuto affrontare un cancro abbiano una sensibilità più accentuata nel cogliere le situazioni di difficoltà degli altri e maggiore empatia». Anche per questo Consuelo si spende anche in prima persona per promuovere iniziative di sensibilizzazione. A marzo la mostra realizzata con l’associazione Cuore di Donna approderà al museo Meli di Luzzana, di cui lei è vicepresidente, «All’origine di questo spazio espositivo c’è una donazione di 220 opere dei miei zii, entrambi artisti: lo scultore Alberto Meli e la moglie pittrice Ester Gaini. Stiamo organizzando per l’8 marzo una serie d’iniziative tutte al femminile: un contributo per parlare con diversi linguaggi dell’arte di temi e problemi ai quali la gente di solito si avvicina con difficoltà».

Le terapie per il carcinoma alla tiroide sono state una prova impegnativa per una donna indipendente e attiva come Consuelo: «All’inizio non è stato facile accettare l’idea di dovermi curare e di doverlo fare subito per salvarmi la vita, mandando all’aria i miei piani personali. Sono stata operata a ottobre e a novembre è arrivato l’esito dell’esame istologico. All’ospedale di Bergamo mi hanno detto che dovevo sottopormi subito alle terapie, nel mese di dicembre. Ci stavamo avvicinando al Natale, avevo tanti impegni, dovevo pensare ai miei figli, quindi inizialmente non volevo farlo. Mi ricordo che avevo tentato di rimandare. La mia oncologa, però, mi ha fatto riflettere, in modo un po’ brusco, perché probabilmente in quel momento ne avevo bisogno: mi ha detto che se avessi rifiutato di sottopormi subito alle corrette terapie avrei dovuto firmare una carta in cui mi assumevo la responsabilità di ciò che poteva accadermi. Mi sono spaventata e così pochi giorni dopo ero già ricoverata in ospedale per una terapia che richiedeva cinque giorni d’isolamento. Non avevo detto a nessuno - tranne, ovviamente, ai familiari - dove mi trovavo e perché, avevo con me l’agenda e il telefono e intanto continuavo a prendere appuntamenti per i servizi che avrei realizzato nei giorni successivi. Mi è pesato in quelle lunghe giornate dover restare lontana dai miei figli, anche per loro ovviamente non è stato un periodo facile, ma l’hanno sopportato bene, mi hanno dato coraggio. Ho cercato comunque sempre di non farglielo pesare».

Dopo le terapie, la reazione di Consuelo è stata buona: «Per cinque anni è necessario ripetere i controlli ogni sei mesi, ed è inevitabile, ogni volta, avvertire un po’ di preoccupazione, ma tutto procede bene». Secondo il celebre fotografo e reporter francese Henri Cartier Bresson, «fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore». Così Consuelo Gaini dopo l’esperienza della malattia è tornata a impegnarsi nel suo lavoro con uno sguardo diverso: «Ho trovato molta bellezza nella fotografia. Questo mestiere mi permette di entrare nelle famiglie e di seguirle nei momenti più importanti come i sacramenti, le feste di famiglia, i matrimoni, la gravidanza, la nascita dei bambini. Mi sembra di essere per molti come una zia, nel bene o nel male, vicina a volte anche nei momenti più dolorosi, nei lutti. Entro a far parte della storia delle persone, ne divento la memoria. Ho partecipato anche ad alcune esposizioni, presentando, per esempio, alcuni scatti raccolti nei miei numerosi viaggi in giro per il mondo. Ho raccolto immagini di donne in diverse società e culture, e con esse ho allestito un’esposizione al Museo ArteTempo di Clusone, una specie di meditazione sulla donna, sul suo ruolo, sulle difficoltà che affronta».

Atteggiamento di ascolto

Consuelo ama raccontare storie, e per questo si pone sempre davanti ai soggetti che riprende con un atteggiamento paziente di ascolto e di attesa, seguendo un po’ la filosofia del grande Elliot Erwitt, secondo il quale le fotografie - un lavoro dell’anima - «non si preparano, si aspettano, si ricevono». «Mi ha coinvolto in modo particolare anche una mostra realizzata per Dario Furlanetto, direttore del Parco dell’Adamello, sui ritornanti, nuova generazione di agricoltori, persone che dalla città sono tornate a vivere in montagna in Val Saviore, cambiando completamente la propria vita, spesso con una fatica incredibile, impegnandosi in attività di coltivazioni biologiche e allevamento. Una scelta controcorrente, molto coraggiosa. Quando scatto una fotografia, mi piace pensare di poter rendere un istante eterno, di creare in questo modo un legame con il passato e con le vicende di una persona. Quando preparo un album, cerco le emozioni nascoste nei dettagli, quelle che sfuggono a uno sguardo frettoloso. Mi sforzo sempre di trovare la parte migliore, quella più positiva in tutte le situazioni, e credo che in questo l’esperienza della malattia mi abbia aiutato, che non sia stata solo un danno, ma anche un dono, che mi ha offerto una possibilità in più di scoprire che cosa conta davvero, di trovare in me e negli altri risorse insospettate».

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