Mai così poca neve sulle Orobie: il confronto in otto scatti - Le foto

Valbondione . Il confronto tra questo febbraio e gli anni scorsi non lascia dubbi: manto bianco nettamente ridotto. Dati in linea con uno studio nazionale: è record. Al Campel lo strato non supera i 23 centimetri, nel 2021 erano 160.

Con la stagione invernale ormai alle spalle, e il limitato quantitativo delle precipitazioni che hanno interessato la nostra provincia, aumentano gli interrogativi sulle disponibilità idriche in vista dell’estate. Il problema non pare infatti circoscritto alle sole aree di pianura, ma coinvolge purtroppo anche la parte alta delle nostre valli, dove siamo al record negativo.

Alle nevicate coreografiche che hanno interessato le quote di media montagna hanno infatti fatto da contrasto le poche decine di centimetri cadute oltre i 2000 metri. Anche quest’anno, come già successo lo scorso inverno, lo «stoccaggio» di neve a quelle quote è da considerarsi ai minimi termini. Una percezione confermata da un recente studio dell’Università di Padova e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna e pubblicato sulla rivista «Nature Climate Change», secondo il quale sulle Alpi non c’è mai stata così poca neve nel corso degli ultimi 600 anni. E da Legambiente che parla di «neve dimezzata sulle Alpi: il 53% in meno sull’arco alpino».

Tra i rischi più immediati, l’anticipo delle fioriture e la diffusione di specie non autoctone

Tornando sulle Orobie, risultano significativi i dati raccolti e condivisi con Aineva (ente che si occupa delle iniziative in materia di prevenzione ed informazione nel settore della neve e delle valanghe) da Omar Semperboni ai 1490 metri del rifugio Campel, sulle piste di Lizzola. Prendendo infatti come riferimento la giornata del 15 febbraio degli ultimi tre anni si può constatare che nel 2020 lo spessore della neve presente al suolo era di 32 centimetri, 160 nel 2021 e 40 nel 2022; quest’anno ci si attesta a soli 23 centimetri. Ma anche le foto pubblicate in questa pagina rendono già a occhio l’idea di come la neve sia nettamente diminuita, sulle nostre montagne, rispetto alle immagini scattate alcuni anni fa.

Transumanza per pochi

Un altro elemento che permette di comprendere che inverno mite stiamo attraversando è legato al comportamento degli stambecchi. Anche quest’anno, come peraltro già capitato negli ultimi inverni, la loro «transumanza» verso valle sta avvenendo in numero assai limitato. Nelle stagioni in cui le nevicate arrivavano con tempistiche e quantitativi ben diversi da quelli attuali, questi ungulati lasciavano in massa le zone del rifugio Curò o del Merelli al Coca per raggiungere i prati di Maslana alla ricerca di cibo; ora questo comportamento si sta manifestando con sempre minor frequenza proprio per le limitate difficoltà a trovarne anche in quota.

Numerosi studi di settore indicano come le zone alpine potrebbero essere tra quelle più ad alto rischio a causa delle anomalie idriche e termiche; tra gli effetti più immediati potrebbero esserci il cambiamento nella composizione delle foreste, l’anticipazione delle fioriture di molte piante e, soprattutto, la diffusione di specie non autoctone e invasive. A livello faunistico si sarebbe invece già osservato un cambiamento dei periodi di attività e di riproduzione degli animali nonché l’anticipazione dell’arrivo di molte specie di uccelli migratori.

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