Processo Pifferi, nuovo affondo del pm sulla perizia di parte: «Frasi suggerite»

LEFFE. Lasciò morire di stenti la figlia. L’accusa punta ancora il dito sulla rete di presunti favoreggiamenti con i quali sarebbe stato riconosciuto il deficit cognitivo. L’inchiesta si allarga.

Non finiscono i colpi di scena nel processo in Corte d’Assise a Milano chiamato a far luce sulla tragica fine di Diana, la bambina di 18 mesi nata a Leffe e morta nel luglio del 2022 di stenti nella casa di Ponte Lambro dopo essere stata lasciata da sola per sei giorni dalla madre Alessia Pifferi, ora imputata per omicidio volontario pluriaggravato.

Al termine dell’esame dello psichiatra Elvezio Pirfo, il perito incaricato dalla Corte d’Assise, secondo il quale la donna è «capace di partecipare coscientemente al processo» e «al momento dei fatti era capace di intendere e di volere», il pm Francesco De Tommasi, nell’opporsi alla richiesta di rinvio sollecitata dalla difesa prima di effettuare il controesame del perito (richiesta per altro ammessa dai giudici), ha di nuovo puntato l’indice contro la presunta rete di favoreggiamento che avrebbe aiutato l’imputata a ottenere la perizia, falsificando il diario clinico e usando un test psicodiagnostico che non potevano utilizzare.

Oltre alle due psicologhe che operano a San Vittore, già indagate per falso ideologico e favoreggiamento al pari dell’avvocatessa Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi, nel mirino del magistrato milanese sarebbero finite altre due psicologhe, - per altro allo stato non indagate (ma sulle quale sono in essere accertamenti) -, che avrebbero messo mano, pur senza figurare, ai test somministrati e alla stesura della relazione psichiatrica da cui si evincerebbe un grave deficit cognitivo della mamma di Diana. «Preannuncio che alla prossima udienza (fissata per il 15 marzo) fornirò la prova che l’imputata ha reso, nei colloqui col perito, dichiarazioni precostituite e imbeccate da altri», ha insistito De Tommasi. «Vi fornirò la prova che il presunto abuso sessuale subito quando era minore e di cui ha parlato durante i colloqui, è assolutamente falso e che questo racconto è frutto di un suggerimento preciso che è stato dato all’imputata».

«Se qualcuno ha imbeccato la Pifferi non sono stata io: penso che il pm stia parlando di un’indagine parallela che nulla ha a che fare con questo procedimento», la pronta replica dell’avvocatessa Pontenani. Per poi aggiungere: «La mia assistita oggi avrebbe voluto dire “voglio che tutta Italia sappia che non volevo uccidere mia figlia”, ma non le è stato concesso. Lo dirà quando farà dichiarazioni spontanee prima della sentenza. Ha pianto quando ha saputo dell’esito della perizia perché non vuole che la gente la descriva come un mostro: lei dice che ha abbandonato la bambina, ma non voleva ucciderla, quindi che l’ha fatto inconsapevolmente».

Nel corso dei tre colloqui clinici condotti dal perito, Pifferi avrebbe mostrato un «eloquio sempre fluido e senza inciampi, sebbene rallentata» e «la necessità costante di sottolineare la sua difficoltà mentale e i suoi problemi psicologici in un’ottica di deresponsabilizzazione». Di più, il perito ha escluso «sintomi depressivi tali che facciano ipotizzare disturbi dell’umore depressivo maggiore o «deficit cognitivi», rilevando però «mancanza di capacità empatica e dipendenza dall’altro», due elementi che però «non sono idonei a configurare un disturbo della personalità».

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