«Tutelare i bisogni di chi si prende cura di familiari malati»

I caregiver . Loredana Ligabue, segretario di Carer Aps: «È fondamentale avere una legge che ne definisca i diritti. Con il Covid si sono fatti carico di tanti problemi».

Regione Lombardia lo scorso novembre ha approvato una legge sui caregiver: un passo avanti nel riconoscimento di queste figure, che chiedono però un riconoscimento anche a livello nazionale. Ce ne parla Loredana Ligabue, segretario di Carer Aps, l’associazione nata per dar voce ai caregiver di ogni genere, età, estrazione e nazionalità.

Chi sono i caregiver e cosa fanno?

«Quando parliamo di caregiver familiari parliamo di familiari che si prendono cura di un proprio caro colpito da disabilità congenita, disabilità acquisita, che soffre di patologie di tipo degenerativo e che ha necessità di assistenza a lungo termine. Un’attività di cura che si collega a una situazione in cui occorre un investimento e un percorso di relazione che dura a lungo nel tempo: quando si tratta di disabilità congenita dura tutta la vita, ma anche quando parliamo delle altre forme di assistenza il dato medio di durata è 12-13 anni. Questo cambia la vita della persona interessata, perché nel breve periodo si può cercare di mantenere le proprie attività, ma nel lungo tempo è impossibile riuscire a reggere».

Qual è la situazione dei caregiver in Italia oggi?

«Le ultime ricerche europee declinate in Italia dall’Istat stimano che in Italia ci possano essere più di 7 milioni di persone che svolgono attività di supporto ad un proprio caro. Di queste circa 2,5 milioni hanno un impegno di cura maggiore di venti ore a settimana. Un dato che si accompagna alla difficoltà nel mantenere l’attività lavorativa: tra i caregiver si registra, infatti, un significativo abbandono del posto di lavoro. L’articolazione per fasce d’età è estremamente eterogenea: abbiamo un dato importante sulla fascia di età che parte con il termine dell’attività lavorativa e che quindi può dedicarsi pienamente al proprio caro, ma ci sono anche molti giovani caregiver. Nell’articolazione attuale delle famiglie, sempre più composte da nuclei piccoli e talvolta monoparentali, succede sempre più spesso che i figli adolescenti al rientro della scuola si debbano occupare del fratello con disabilità o del nonno con patologia cronica».

Dal punto di vista dei diritti a che punto siamo? Perché è importante un riconoscimento giuridico?

«Storicamente l’intervento legislativo nel nostro Paese si riconduce alla legge 104, che riconosce congedi e permessi. Nel 2014 con un percorso compiuto direttamente dalla nostra associazione anche in Italia ha preso il via un riconoscimento specifico dei caregiver con la legge del 2014 dell’Emilia Romagna, a cui hanno seguito leggi di intervento regionale anche in altre regioni. A livello nazionale a partire dal 2016 è iniziato un confronto nell’ambito della Commissione lavoro del Senato che ha portato nel dicembre 2017 all’approvazione della legge di bilancio con due emendamenti che hanno esplicitato l’attivazione di un fondo nazionale per i caregiver e una definizione di queste figure centrata sulla gravità della persona assistita e sull’ottenimento della certificazione. A livello regionale, invece, si mette in luce la soggettività della persona caregiver e soprattutto che c’è una fase prima della certificazione che è un momento molto importante. È fondamentale avere una legge che definisca i diritti dei caregiver».

Quali sono gli elementi di maggiore problematicità emersi nel post pandemia?

«Con la pandemia i familiari si sono dovuti far carico della chiusura di attività importanti come centri diurni, laboratori occupazionali e anche del blocco di ammissioni nelle strutture residenziali. A cui si aggiunge la grande paura che tutti abbiamo avuto e che per i caregiver ha significato sia paura che la persona già fragile potesse avere impatti letali che paura di essere contagiati e quindi non poter dare assistenza. Questo ha voluto dire aumento dei costi, abitazioni spesso non attrezzate per ospitare attività di cura, lavoro e studio in contemporanea, impatti di tipo psicologico e di salute mentale».

Quale ruolo possono avere le associazioni che si occupano di malattia nei confronti dei caregiver?

«È certamente importante che nel territorio ci siano associazioni perché sono fattore connettivo importante e di aiuto diretto alle persone che hanno necessità. L’enfasi che poniamo è la necessità di rivolgere l’attenzione ai bisogni del caregiver: il volontariato può avere un’importante funzione di raccordo, supporto, ascolto, di indirizzo all’informazione istituzionale. È fondamentale che le associazioni siano impegnate nella tutela dei diritti e in una funzione di advocacy».

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