Le alluvioni in Europa si possono prevedere, la chiave è nel passato

Le grandi alluvioni si possono prevedere e la chiave sta nel passato, cioè in quelle già avvenute in luoghi simili in tutto il continente europeo. Lo afferma un vasto studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience e guidato da una ricercatrice italiana del Politecnico di Vienna, Miriam Bertola, al quale hanno partecipato anche molti atenei italiani: Università di Padova, Università di Bologna, Università Federico II di Napoli, Politecnico di Torino, Università di Roma Tre e Università di Messina. La ricerca, che ha analizzato 510 alluvioni catastrofiche avvenute in Europa in oltre 200 anni, mostra l’importanza di ‘unire le forze’ adottando un approccio su scala continentale, in modo da poter anticipare questi eventi prendendo le adeguate contromisure.

Le alluvioni catastrofiche, o mega-alluvioni, sono eventi estremi che superano di gran lunga le inondazioni precedentemente sperimentate in una determinata località. Sono però anche fenomeni rari, e questo li rende estremamente difficili da prevedere. Per cercare una soluzione a questo problema, i ricercatori hanno analizzato i dati relativi alla portata dei fiumi provenienti da 8.000 stazioni di misurazione in tutta Europa, dal 1810 al 2021, identificando 510 mega-alluvioni.

I risultati evidenziano che regioni anche molto distanti tra loro, ma con caratteristiche idrologiche simili, tendono a produrre eventi simili: secondo gli autori dello studio, basandosi su alluvioni precedenti sarebbe stato possibile prevedere la portata del 95,5% di quelle catastrofiche, e lo stesso metodo può quindi essere applicato per anticipare quelle future.

“Questo è il primo studio che analizza il fenomeno delle mega-alluvioni in modo sistematico su tutto il continente europeo”, commenta Attilio Castellarin dell’Università di Bologna, che ha partecipato alla ricerca. “È fondamentale guardare oltre la semplice valutazione nazionale del rischio alluvione – aggiunge Alberto Montanari dell’Università di Bologna, co-autore dello studio – e condividere le informazioni a livello continentale e globale”.

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