Prima le meningiti, ora il virus
«Autoreclusi per il bene dei nostri ospiti»

A Castelli Calepio alcuni operatori della fondazione per disabili gravi «Conti Calepio» non tornano a casa da settimane. Dormono in locali vicini per evitare di portare il contagio.

C’ è un altro volto dell’emergenza coronavirus. Ed è un volto discreto, poco rumoroso, per nulla chiassoso. Ha gli occhi - perché solo quelli si vedono - dei tanti operatori che con il loro lavoro silenzioso e le loro premure quotidiane, proteggono i 25 ospiti residenziali della fondazione Conti Calepio, fondazione che dal 2007 si occupa di persone con disabilità gravi e gravissime.

Alcuni di questi operatori - educatori ma anche collaboratori sanitari, sia bresciani sia bergamaschi - non tornano a casa da settimane. Hanno scelto di dormire in locali in affitto vicini alla fondazione, che ha sede a Castelli Calepio. «Lo fanno per scongiurare un eventuale contagio fra i nostri ospiti», dice la presidente Cinzia Romolo.

Lei stessa ha quasi sempre incontrato i medici e lo staff solo nel cortile della struttura, senza venire in contatto con gli ospiti.

Ingressi vietati ai familiari
La fondazione s’è trovata a dover chiudere i contatti con l’esterno per la seconda volta in pochi mesi. «Avevamo scelto prudenzialmente di vietare gli ingressi quando è scoppiato il focolaio della meningite nel basso Sebino. E quando la pandemia del coronavirus ha iniziato a diffondersi, avevamo riaperto la struttura da solo una settimana: abbiamo scelto di richiudere, nuovamente». Chiudere alle visite di familiari e conoscenti degli ospiti.

Ma, soprattutto, chiudere alle 25 persone che quotidianamente frequentano il centro diurno integrato, vero e proprio sollievo e servizio prezioso per le famiglie di persone con disabilità grave.

«Il servizio è stato sospeso per proteggere i nostri ospiti dall’ eventuale contagio dall’ esterno, non avevamo altra scelta. Ma i nostri educatori lavorano tutti i giorni collegandosi via Internet con chi frequenta il centro diurno: si sentono, fanno attività insieme attraverso delle piccole clip, cercano di mantenere il legame che si è creato. E forniscono anche supporto psicologico e sanitario ai genitori, quando ne hanno bisogno».

Il personale medico e tutti gli operatori della fondazione Calepio hanno dovuto fare i conti con il virus in prima persona: un’ ospite della struttura, risultata positiva al coronavirus, è mancata a metà marzo all’ ospedale di Alzano. Ma a nessuno dei dipendenti o dei collaboratori sanitari è stato fatto il tampone.

Alcuni di loro, una quindicina su un totale di circa 50 addetti, si sono ammalati. Così come si sono ammalati anche alcuni ospiti della fondazione.

«Ora stanno tutti bene - dice la presidente - ma è evidente che il nostro personale ha dovuto fare un grande lavoro per stare vicino a chi si è ammalato, cercando in tutti i modi di proteggersi per evitare di venire contagiato». Impresa ardua, quando non si hanno a disposizione tutti i dispositivi di protezione. Da Ats 200 mascherine «No, non c’ è stato mandato nulla, se non settimana scorsa 200 mascherine da parte di Ats. Sono durate poco più di due giorni. Abbiamo acquistato tutto in autonomia, e per fortuna avevamo qualche scorta fatta durante l’ emergenza meningite».

E se il personale della struttura è riuscito ad assicurare un lavoro tutto dedicato a proteggere, curare e coccolare gli ospiti - solo qualche giorno fa sono arrivate le uova di Pasqua, tanto attese dai ragazzi, mentre una benefattrice ha regalato cinque tablet -, la fondazione si troverà a dover fare i conti con costi ancor più elevati del solito.

«Già sono altissimi - osserva la presidente - ora lieviteranno per i costi di gestione legati all’emergenza, per l’ acquisto dei dispositivi di protezione di cui ci siamo fatti carico, e anche perché è nostra intenzione gratificare il personale sempre presente che ci ha permesso di dare continuità al servizio. Fino a ora abbiamo fatto tutto da soli, con grande discrezione. Ora speriamo che il territorio e le istituzioni non si dimentichino di noi».

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