Il «Requiem del Gleno»
e la temperatura che sale

La carovana dei ghiacciai domenica in quota al ghiacciaio del Gleno.

Le previsioni meteo non hanno sicuramente favorito la manifestazione promossa da Fridays for Future, in collaborazione con la Carovana dei ghiacciai e Legambiente al ghiacciaio del Gleno per richiamare l’attenzione sulle conseguenze dei cambiamenti climatici.Erano infatti una ventina gli escursionisti che sono saliti ieri al suo cospetto per «rendere omaggio» a quello che rimane di questo storico ghiacciaio.

I cambiamenti climatici vengono confermati dai depositi morenici lasciati dopo il suo ritiro nonché dalle misurazioni storiche, di cui si ha traccia già dai primi anni del 1900. Le stesse hanno evidenziato come il ghiacciaio si estendesse tra la Cima Trobio, il Monte Gleno, il Pizzo Tre Confini ed il Pizzo Recastello, coprendo una superficie di circa 100 ettari.

Nel 1942 si separò addirittura in due vedrette (poi nominate Trobio orientale e occidentale), ma la dimensione di quest’ultima restò rilevante, almeno fino al 1957. «A fine estate – raccontava Dino Perolari – salimmo ai 2.824 metri del Pizzo Tre Confini per posare la campana di vetta e ricordo che il ghiacciaio copriva ancora l’enorme conca sottostante raggiungendo quasi la vetta. I miei amici mi calarono solo di alcuni metri con una corda verso la sua crepacciata sommitale per prelevare del ghiaietto, che si era depositato e ci sarebbe servito per fare il calcestruzzo».

«Abbiamo organizzato il “requiem del Gleno” – ha detto Francesco Perini di Frydays For Future – per richiamare l’attenzione sul riscaldamento globale in atto da tempo. Questo ci è sembrato il posto migliore per dimostrare quali siano le conseguenze legate ai cambiamenti globali, visto che è l’ultimo ghiacciaio presente oggi sul versante bergamasco delle Orobie. Recenti studi – ha concluso – hanno dimostrato che in provincia di Bergamo la temperatura media è cresciuta di 2,38 gradi negli ultimi 50 anni e questo è sicuramente un dato che deve fare riflettere».

Un fattore che ha contribuito il modo negativo alla conservazione della neve durante l’estate è legato anche alla presenza di un’alga nivale, che prolifera sulla sua superficie. Il dottor Biagio Di Mauro, ricercatore all’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sta studiando da tempo il fenomeno.

«I campioni di neve rosso porpora recuperati recentemente proprio sulla vedretta del Trobio occidentale – dice – confermano la presenza di Chlamydomonas nivalis. Benché sia un organismo diverso rispetto a quello individuato durante i nostri recenti studi sui ghiacciai della Groenlandia in determinate condizioni ambientali contribuiscono entrambi a colorare la neve e il ghiaccio di rosso. Questo fattore aumenta purtroppo la quantità dei raggi solari assorbiti e, di conseguenza, velocizza il loro processo di fusione. Dal punto di vista scientifico – conclude Di Mauro – il fenomeno ha destato molto interesse. Rimane ancora molto da studiare su queste alghe. Il loro impatto sulla fusione di neve e ghiaccio non è stato ancora accuratamente determinato e potrebbe in futuro aumentare a causa dei cambiamenti climatici».

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