Mondiali? Negozi deserti
Per la gioia del popolo femminile

di Fabiana Tinaglia
Decisione saggia, non molto per il mio conto corrente, ma strategica per l’umore sofferente che si percepiva sul sudatissimo divano. Uno strazio, e quando sono tornata a casa dal centro commerciale con l’amica «so io come ti risolvo questa noia di partita», la disfatta era già consumata.

Decisione saggia, non molto per il mio conto corrente, ma strategica per l’umore sofferente che si percepiva sul sudatissimo divano. Uno strazio, e quando sono tornata a casa dal centro commerciale con l’amica «so io come ti risolvo questa noia di partita», la disfatta era già consumata.

Praticamente sono riuscita solo a infervorarmi per il morso dei denti da castoro di Suarez sulla spalla di Chiellini e poi mi sono ammutolita. Perché va bene tutto, ma non sono proprio fessa: con tutta la tattica che è mancata a Prandelli ieri sera ho trasferito il popolo rosa in camera e qui ho indetto una riunione per visionare lo shopping poco prima compiuto, allontanando così dalla valle di lacrime il chiacchiericcio effettivamente un tantino fastidioso di mogli, fidanzate, compagne e single accanite. E così è bastato mostrare loro i sacchetti variopinti per dare il via a una festa alternativa mentre al di là della parete calava il grigiume su un gruppetto infelice di uomini in maglia azzurra che sbuffavano e si dannavano tra ipotesi traballanti e strategie in cui non credevano neppure loro.

Certo, al triplice fischio lo spettacolo è stato sconfortante: Balotelli che si copre la faccia sudaticcia, Immobile insipido e un Pirlo coi lucciconi (per lui mi sono intenerita). Quindi grazie amica mia: di avermi trascinato sulle strade deserte di Bergamo raggiungendo Oriocenter a una velocità record, con l’auricolare incollato al lobo per non perdermi azioni eclatanti (pochine…), mentre tu ti fiondavi in tutti i negozi possibili. Le ho dato a disposizione il primo tempo e lei ha fatto anche la civettuola con un commesso disperato che le avrebbe fatto pure lo sconto pur di sapere se Balotelli aveva concluso qualcosa in campo. «Macchè, ora si mette anche a simulare e lo fischiano pure» ha risposto inacidita perchè mancava la sua taglia, per finire poi da un certo Samuele che alla cassa sembrava al patibolo. «Suvvia, non fare così» provo a metterla sul ridere. Ma non la prende bene. E mi guardo intorno e capisco: ci siamo solo noi. Donne, e solo donne, con gli scaffali che straripano di merce. Poche, elettrizzate e un tantino isteriche per l’opportunità a disposizione. Nei corridoi qualche sparuto maschio attaccato alla tv, il parcheggio è deserto, ci sono più lumache e suricati di plastica in formato extralarge di umani. Ecco l’intervallo, trascino l’amica fuori dai negozi e ci buttiamo dentro l’Esselunga. Vuota, col salumiere depresso e il cassiere che sembra un disco rotto: «Sì signora, sono qua, non me lo dica anche lei che l’Italia sta giocando».

L’amica sta diventando irritante, meglio tornare alla base. Che è un flop: non mangiano, non bevono, non parlano. Va molto meglio a sfrugugliare tra i sacchetti di uno shopping appena sfornato. E la partita? Chiedo alle amiche rimaste sul divano: «Ma niente dai: a parte il loro gol, due parate di Buffon, noi senza attacco e poi siamo rimasti in dieci e tutti diranno che per questo abbiamo perso». Sono sbalordita e torno in salotto. Con gli sguardi che si fanno incattiviti: «E tu, con il tuo tacco 12, non azzardarti a ironizzare sull’Italia che è fuori» mi dicono. Non sono mica matta, basta l’amica fashion: «Peccato solo che non si giochi più – sbuffa lei -: in tempo di saldi una giornata così sarebbe stato il mio sogno».

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