Senza lavoro per la crisi
Ora un giovane fa il boscaiolo

Boscaiolo, come i bisnonni, i nonni, il papà e gli zii. Per necessità (ma, comunque, con un pizzico di passione), per colpa della crisi economica. A 26 anni, d’inverno, anche se c’è neve e la colonnina di mercurio scende sotto lo zero, a tagliare e portare legna, con motoseghe e «podèt». La crisi è anche questa: un giovane di San Giovanni Bianco, trasferitosi da una decina d’anni con la famiglia a Villa d’Almè, rimasto senza lavoro, quello comodo in un ufficio di un’agenzia turistica a Ponte San Pietro, a causa delle difficoltà economiche.

Roberto (nome di comodo perché il nostro boscaiolo preferisce restare nell’anonimato), allora, si guarda indietro: e indietro i suoi bisnonni e nonni, ma anche suo padre, hanno fatto i taglialegna, come migliaia di altri convalligiani, nei nostri boschi ma soprattutto in Francia o in Svizzera, persino in Australia. Le risposte delle aziende e degli stabilimenti, nell’ultimo anno, sono sempre state le stesse: lavoro non ce n’è.

Così Roberto torna a fare il mestiere che per decenni ha dato sostentamento alle famiglie della valle. Una testimonianza, la sua, che, l’altra sera, al Palamonti di Bergamo, ha colpito nel segno all’incontro organizzato da Centro studi Valle Imagna e Cai e coordinato da Antonio Carminati, per celebrare la «Giornata internazionale della montagna».

Si parlava di lavoro in montagna e dei suoi abitanti, di immagini di ieri (quelle di Emilio Moreschi, imprenditore, socio Cai e appassionato di fotografie), per cercare di capire con alcuni protagonisti di oggi il futuro delle valli. E il coraggio di Roberto è stato applaudito. «Sono andato via dalla montagna una decina d’anni fa - ha raccontato - per trasferirmi con la famiglia vicino a Bergamo. Ma ora la crisi mi ha costretto a tornare alla montagna, da dove venivo».

Dopo il diploma all’istituto alberghiero di San Pellegrino, Roberto trova lavoro come operaio, poi, finalmente nel settore per cui aveva studiato: una grossa agenzia turistica, con una sede anche a Ponte San Pietro. Qui lavora per due anni, poi la crisi travolge tutto: chiudono sette filiali su nove e anche lui resta a casa, dall’ottobre dello scorso anno (senza passare dalla cassa integrazione). Così quel lavoro, rimasto nella tradizione della famiglia, ma ultimamente diventato un «di più», improvvisamente torna ad essere il mestiere più importante per andare avanti.

Per Roberto e il padre, colpito pure lui per un anno dalla cassa integrazione, sembra come tornare indietro di decenni. «Mio bisnonno faceva il boscaiolo - ha raccontato al pubblico - e mio nonno iniziò a fare il taglialegna a dieci anni, in Francia, mentre a 16 anni emigrò in Australia». Quei racconti così lontani ora diventano realtà anche per la famiglia di Roberto. «Nonostante avessi un mio lavoro - spiega - fin da ragazzo ho sempre aiutato la famiglia e gli zii a tagliare legna nei boschi, d’estate o nei fine settimana. Un po’ ci sono abituato ma mai avrei pensato che questo, prima o poi, sarebbe diventato il primo mestiere. Lavoriamo un po’ ovunque, dove ci chiamano, in Valle Brembana e in Valle Seriana. Purtroppo solo in autunno e in inverno, perché le leggi regionali vietano il taglio nelle zone di protezione speciale in estate. E i boschi della nostra regione sono per buona parte in zone protette. In tal senso non abbiamo molti aiuti dalle istituzioni».

Motoseghe, trattori, tiranti e «podèt» sono gli attrezzi di un mestiere che nella nostra provincia conta sì e no una decina di professionisti. «È dura, ci vuole sacrificio - continua il giovane originario di San Giovanni Bianco - e si prende un gran freddo visto che si lavora d’inverno. Ultimamente mi sono preso anche un bel mal di schiena. La concorrenza, forte, arriva da Francia, Croazia e Romania, ma di lavoro, comunque, ce n’è». Tanto che Roberto, visto che dalle prossime settimane resterà senza aiutante (il papà dovrebbe ritornare in fabbrica), sta chiedendo un aiuto a qualche coetaneo senza lavoro: «Inizialmente rispondono di sì - spiega -, poi non viene mai nessuno. Preferiscono restare al bar, anche se con pochi soldi».
 Giovanni Ghisalberti

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