«Niente è scontato nella vita
Lo insegna la sedia a rotelle»

«Niente è scontato nella vita». Neppure una passeggiata o quattro gradini saliti di corsa. Per rendersene conto basta andare a Mozzo, al Borghetto, dove c'è l'ex «Casa degli angeli», dependance riabilitativa degli Ospedali Riuniti.

«Niente è scontato nella vita». Neppure una passeggiata in paese o quattro gradini saliti di corsa. Per rendersene conto basta andare sulla collina di Mozzo, al Borghetto, dove c'è l'ex «Casa degli angeli», dependance riabilitativa degli Ospedali Riuniti. Il luogo è accogliente: una palazzina immersa nel verde e nel silenzio, con alberi maestosi e il canto degli uccelli. Dentro si respira un clima da famiglia allargata. È qui che molte persone, dopo la fase acuta della malattia curata in Ospedale, vengono ricoverate per cercare di tornare alla normalità. E in molti casi per imparare ad affrontare una «seconda vita» reale, non immaginaria.

È qui che si ritrovano tanti «sopravvissuti del sabato sera» e le vittime di incidenti. Un istante e niente è più come prima. Il mezzo di trasporto più comune in questo «collegio» è la sedia a rotelle. Ce ne sono di tutti i tipi, quelle comuni, spinte da giovani e meno giovani che hanno perso l'uso delle gambe - i paraplegici - e quelle elettroniche, azionate da pazienti meno fortunati che non muovono più neppure le braccia: i tetraplegici. Primario della struttura è il dottor Guido Molinero. Con lui operano medici, psicologi, fisioterapisti, infermieri, oltre a un gruppo di volontari. In un giorno di sole, alcuni disabili hanno accettato di raccontarsi…

Giorgio Cornici, 49 anni, trevigliese, separato, un figlio di 20 anni, studente, che vive con lui. Magazziniere in un'azienda di proprietà del cognato e della sorella, viaggiava sulla sua Honda 1000 vicino a casa quando una macchina, guidata da un ragazzo, gli ha tagliato la strada. Un impatto tremendo. «Già sull'asfalto mi ero reso conto di aver perso l'uso delle gambe, ma il mio unico pensiero era per mio figlio. Temevo che restasse solo». Parole da padre che usa anche nei confronti dell'investitore: «Non gliene faccio una colpa: tutti possiamo sbagliare, purtroppo sono errori che costano molto. Ma pure a lui e alla sua famiglia questo fatto ha cambiato l'esistenza: suo papà è andato più volte da mia sorella per chiedere scusa». Ricorda bene lo stato d'animo con cui è entrato in sala operatoria: «Già ero sconvolto per la separazione, sinceramente speravo di non svegliarmi più. Purtroppo, o per fortuna, mi sono svegliato in questa situazione. E il giorno dopo era tutto da ricostruire». Ripartendo da Mozzo, in lotta contro il male fisico e contro la depressione: «Adesso sta passando, ho ripreso a lavorare e questo mi aiuta a sentirmi ancora utile. Le mie sorelle e mio cognato mi hanno sostenuto tantissimo. Certo, sarebbe stato differente se avessi avuto a fianco una moglie. Ma per fortuna c'è mio figlio che mi fa una grande compagnia. È un ragazzo fin troppo bravo: non esce mai la sera e al sabato mi chiede il permesso, perché gli dispiace lasciarmi lì da solo. D'altra parte il mio unico orizzonte è stata la famiglia e di amici ne ho sempre avuto pochi». Abbassa gli occhi: «Per me la separazione è stata un dolore più grande di quello che mi è capitato quella sera». A casa ha dovuto installare l'ascensore, con i soldi dell'assicurazione ha acquistato un'auto, gioca a tennis in carrozzina. Tutto adesso gli appare sotto una luce diversa. «Prima la cosa prioritaria erano i soldi, che non bastavano mai, ora le cose importanti sono la salute e le persone che hai vicino. Cose scontate che prima non si apprezzavano, oggi sono tutto. Il dolore mi perseguita ancora ma non è questa la fatica più grande: la mia vera paura è di rimanere solo e di dover essere di peso a qualcuno. Questo è quello che continuo a pensare».

Per conoscere tutte le testimonianze leggi L'Eco di Bergamo del 31 ottobre

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