Bergamo, un ospedale
di debole costituzione

di Alberto Ceresoli

«Ogni pazienza ha un limite» recitava il grande Totò, e per quella che i bergamaschi hanno mantenuto fino ad oggi nei confronti della realizzazione del nuovo ospedale della città la misura è ormai colma. Non passa settimana che dal cantiere della Trucca non emerga una qualche magagna (l'acqua nei sotterranei, i vetri non temperati, le finestre delle sale operatorie non a norma, le aziende «saltate», i costi alle stelle, i conflitti in Tribunale, e l'elenco sembrerebbe destinato ad allungarsi), distogliendo così l'attenzione dai problemi - forse ben più difficile da risolvere - legati alla gestione dei rapporti tra tutti gli attori coinvolti nella vicenda. Dentro e fuori le mura dei «Riuniti», dentro e fuori i confini del «Papa Giovanni», dentro e fuori i confini della provincia.

Che nella realizzazione del nuovo ospedale di Bergamo qualcosa non sia andato per il verso giusto è ormai sotto gli occhi di tutti, e negarlo è solo un mero esercizio di arte oratoria che non incanta più nessuno. Ma ai bergamaschi - geneticamente pragmatici - interessa poco, almeno in questa fase, sapere cosa sia andato storto, dentro e fuori il cantiere. Oggi interessa molto di più sapere con assoluta certezza la sorte di questo ospedale.

Che il «Papa Giovanni» sarà certamente tra i più belli ed efficienti ospedali d'Europa i bergamaschi non lo mettono in dubbio, ma vogliono sapere da che giorno, mese e anno avrà davvero queste caratteristiche, che implicano necessariamente non solo il taglio del nastro della struttura, ma anche la sua reale attivazione, cioè sale operatorie in funzione, sale parto in piena attività, terapie intensive a pieno servizio, camere di degenza con i malati dentro, eccetera eccetera eccetera.

Domanda che giriamo direttamente al governatore della regione, Roberto Formigoni, dal quale ci piacerebbe avere risposte precise e soprattutto dirette, senza alcun intermediario. Non solo perché, in fin dei conti, il titolare di tutto il procedimento è proprio la Regione (anche se non formalmente), ma perché ci sembra che la regia bergamasca di tutta la questione sia piuttosto inconcludente, da più di un anno a questa parte. E ai bergamaschi la mancanza di concretezza piace poco.

Ma c'è anche un altro fattore che ci spinge a chiedere direttamente al governatore le risposte che a Bergamo sono un po' sulla bocca di tutti. Se a gennaio si dovesse andare alle urne, non è da escludere che Formigoni se ne vada a Roma, lasciando così la presidenza della Regione. Il che implicherebbe un «giro di valzer» elettorale anche in Lombardia, con tutte le conseguenze del caso. Se poi l'eventuale nuovo governatore non dovesse essere un «formigoniano», è possibile che a fine giugno - quando i direttori generali di Asl e ospedali saranno sottoposti al primo «tagliando» previsto dalla normativa che li ha nominati - si verifichi un ribaltone anche in questo campo, sacrificando agli interessi della politica questo o quel direttore generale. In tutto questo bailamme, l'ospedale di Bergamo non sarebbe certo al primo posto delle cose da fare (o meglio da finire).

In poche parole, Bergamo vuole delle certezze e le vuole dal comandante in capo dell'operazione, di cui nessuno discute l'autorevolezza e la capacità di prendere in mano un problema tanto spinoso e di risolverlo una volta per tutte. Ci sarà tempo poi per attribuire a ciascuno le proprie responsabilità, per sapere se le colpe saranno da suddividere più o meno equamente tra i diversi protagonisti di questa delicata e complessa operazione, o se qualcuno ne avrà più di altri. Da anni il principio ispiratore della sanità lombarda è il celeberrimo «interesse del malato»: e quale interesse migliore ha un malato se non la concreta realizzazione di un ospedale bello ed efficiente come il «Papa Giovanni»?

A. C.

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