Nomi e documenti top secret
Così decideva la commissione

Per due anni la commissione comunale per l'assegnazione degli alloggi sociali ha deciso «al buio», con nominativi secretati e senza poter accedere alla documentazione che poteva provare lo stato di emergenza dei richiedenti.

Per due anni la commissione comunale per l'assegnazione degli alloggi sociali ha deciso «al buio», con nominativi secretati e senza poter accedere alla documentazione che poteva provare lo stato di emergenza dei richiedenti.

I commissari (rappresentanti dei sindacati, dell'Aler e dello stesso Comune) valutavano quindi le situazioni presentate dai funzionari comunali senza averne riscontro verificabile. Bastava la fiducia, tutto in nome di una non meglio precisata «disposizione della segreteria generale in materia di privacy».

Ma questa disposizione non doveva essere poi così vincolante, se è vero che dopo il blitz della Finanza della primavera scorsa e la nomina della nuova commissione, improvvisamente i nomi dei richiedenti e le relazioni degli assistenti sociali sono tornati sui tavoli dei commissari.

La commissione ha il delicato compito (previsto dal regolamento regionale negli articoli 14 e 15) di verificare l'urgenza delle domande di chi, per i motivi più disparati, si trova ai piani bassi della graduatoria comunale, oppure non si trova affatto, ma ha comunque un'improrogabile necessità di alloggio. Sono quasi tutti casi legati all'emergenza del momento: un appartamento distrutto, una situazione critica in famiglia, una malattia imprevista... Se passassero attraverso la graduatoria ufficiale, probabilmente dovrebbero aspettare mesi, o anni (basti pensare che ad oggi sono quasi 800 le persone in lista d'attesa). Invece, proprio per via dell'urgenza della situazione in cui si trovano, accedono a questo canale preferenziale previsto dal regolamento regionale. La commissione ha un ruolo consultivo: assegna un punteggio in base al quale poi il Comune decide autonomamente. Certo che un conto è esprimere un giudizio in base a nomi, cognomi e dati oggettivi, un altro è definire un punteggio in base a una relazione presentata proprio da chi, poi, sarà tra coloro che procederanno all'assegnazione.

«Abbiamo sempre agito in buona fede – dice ora Roberto Bertola del Sicet (Cisl) –. Io siedo in quella commissione da anni. Prima non era così, avevamo a disposizione tutti i dati. Poi un giorno, verso la fine del mandato del sindaco Bruni, per far intendere la data, ci hanno detto che non si poteva più, che c'era una disposizione della segreteria generale sulla privacy che stabiliva che nomi e documenti non potevano finire in commissione». La decisione però, secondo la ricostruzione di Bertola, non aveva scoraggiato o insospettito i commissari: «Ci siamo detti che poteva anche andar bene così, purché si potesse continuare a dare il nostro contributo. Certo, se poi i sospetti venissero confermati, allora siamo stati presi in giro». E poi aggiunge: «Forse da parte nostra c'è stata qualche leggerezza formale, ma posso assicurare che mai avremmo immaginato che ci potesse essere qualche irregolarità nel meccanismo di assegnazione. Il nostro è un compito difficile: convertire in indici numerici situazioni complesse che spesso devono essere risolte in pochissimo tempo».

E forse proprio per non intralciare le procedure, la decisione di secretare i dati dei richiedenti anche in commissione (in una situazione protetta, quindi, in cui la privacy è giocoforza già tutelata), non aveva suscitato reazioni, almeno politicamente significative. Sullo sfondo, una commissione via via svuotata di componenti (fino a qualche anno fa al tavolo sedevano anche diverse associazioni del territorio) e di capacità di giudizio (nel nome di un discutibile principio di privacy). Fino al patatrac.

Paolo Doni

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