Dalla Val di Scalve all'Alta Val Brembana
L'aquila reale è tornata nei nostri cieli

Sorpresa? Per gli addetti ai lavori neanche un po'. Ma per chi non mastica la materia, altroché se è una sorpresa: erano secoli che sulle Orobie non «osavano» così tante aquile reali.

Sorpresa? Per gli addetti ai lavori neanche un po'. Ma per chi non mastica la materia, altroché se è una sorpresa: erano secoli che sulle Orobie non «osavano» così tante aquile reali. «Sull'intero arco dalla Val di Scalve all'Alta Val Brembana – spiega Giacomo Moroni, esperto faunistico – le coppie nidificanti censite sono 11». Tante? Tantissime: facendo due conti, sono almeno 22 gli esemplari stanziali che hanno colonizzato le Orobie, più 11 figli considerando che i genitori abitualmente covano due aquilotti e che poi ne sopravvive uno. La specie, infatti, pratica il «cainismo» (da Caino e Abele): il secondo nato diventa, generalmente, la riserva alimentare del primo quando c'è scarsità di altro cibo. Particolare che renderà la regina delle vette alquanto meno simpatica, ma è così e stop. «Trent'anni fa – prosegue Moroni – l'aquila era sulla lista nera degli animali a rischio di estinzione. Oggi la popolazione è in forte e decisa ripresa. I guardiacaccia la vedono regolarmente volare sulle vette, a volte finisce nei pollai, capita di recuperarla debilitata, o purtroppo ferita, anche a basse quote. Cos'è successo? Cos'è cambiato? Fino agli Anni '70 erano costantemente perseguitate dai bracconieri e dai pastori a cui decimavano le greggi. La sensibilità, però, da allora è profondamente cambiata insieme ai regimi di protezione e alla legislatura che tutela queste specie. Ma, soprattutto, è cambiato l'habitat». La regina, infatti, è all'apice di una catena alimentare che proprio a partire dagli Anni '70 è stata pian piano ricostruita. «Le marmotte – continua Moroni – sono la cosiddetta specie-foraggio, costituendo il 90% della dieta dell'aquila in estate. Ma in Bergamasca non ce n'erano più. Sono state reintrodotte 30 anni fa dal Comitato caccia di Bergamo, poi assorbito dalla Provincia, che le andò a prendere in Val Chiavenna e le portò in Val di Scalve e in Alta Val Brembana. Perché erano sparite? Perché c'era la fame e la gente se le mangiava. Andava a scavare nei nidi sotto le neve d'inverno ed erano proteine se non gustose almeno necessarie. Insieme a tutti gli altri animali selvatici, le marmotte erano cibo prezioso in un ambiente così ostile come le Orobie. Un dato per tutti: i camosci erano forse 200 a fine Anni '60, oggi sono 6.000. La presenza di fauna selvatica sulle nostre montagne, dunque, è enormemente migliorata negli ultimi decenni. E dopo le prede, sono arrivati "in massa" anche i predatori. L'aquila sta in cima alla lista, è lei la regina, è lei che chiude la catena». Ed è sempre lei che ormai si fa vedere, con il suo fantastico volo circolare, sempre più spesso anche a quote più basse: è presente, per esempio, in Val Vertova, ma la si può ammirare anche sopra i Colli di San Fermo.

È tornata, dunque, e stabilmente. Ma in verità non se n'era mai del tutto andata: «Un appassionato ornitologo – svela Moroni – ha scoperto recentemente un nido che risale a prima di Cristo. Come lo sappiamo? Premessa: le aquile frequentano nidi che magari sono vecchi di secoli, li sistemano, li aggiustano portando altri rami e li migliorano. Sono fatti di legni posati su anfratti nelle rocce, possono avere un diametro di un metro e sono altrettanto alti. Alla base di quel nido antichissimo, che è in Alta Val Brembana ma là resterà (quindi bocche cucite sul punto preciso dove si trova), c'erano dei sedimenti fossilizzati. Con l'analisi al carbonio 14 è stato possibile datarlo: ha più di 2.000 anni. Un ritrovamento straordinario». Beh, allora l'aquila regnava beata anche sulle nostre montagne senza temere i bracconieri. Né i pastori potevano certo fermarla. Ci ha messo un bel po', ma ora sta pian piano riprendendosi le sue Orobie.

Claudia Mangili

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