«Il mio sogno nell'ex magazzino
Tanta musica per tutta la città»

Questa è la storia di un sogno che è rimasto accovacciato nel cuore di un uomo per quarant'anni, finché un giorno ha deciso che non voleva saperne di morire rinchiuso dentro un petto, si è appeso saldamente al carroponte di un vecchio magazzino e ha preso il volo.

Questa è la storia di un sogno che è rimasto accovacciato nel cuore di un uomo per quarant'anni, finché un giorno ha deciso che non voleva saperne di morire rinchiuso dentro un petto, si è appeso saldamente al carroponte di un vecchio magazzino - stanco pure lui di restar chiuso - e ha preso il volo.

Ma partiamo dall'inizio. C'era una volta un ragazzo che si chiamava Simone Vigani e suonava la batteria; se la cavava così bene da essere richiestissimo nelle balere della Bergamasca, dove si esibiva con gli Woom, il Gruppo6, i Condor, gruppi che all'epoca facevano furore tra i ragazzi e stragi tra i cuori femminili. Erano i primi anni settanta, si andava a ballare la domenica pomeriggio e il magazzino di via De Amicis, nascosto dietro a via Carducci, era già là, col suo bravo carroponte e le vetrate anni '50 con i profili di ferro verniciati di grigio.

«Suonavo da quando avevo quindici anni e pensavo che sarei vissuto di musica - ricorda Simone -. Avevo l'età in cui si è convinti che i sogni siano più forti di tutto ma alla fine di ogni mese i numeri mi riportavano coi piedi per terra dicendomi che i conti non tornavano mai». Ha tenuto duro finché ha potuto, stringendo forte il sogno tra le dita con la sua tenacia di ragazzo, poi ha capito che era arrivato il momento di diventare grande e si è arreso alla realtà. Una domenica sera, dopo avere suonato per l'ultima volta alla balera «Il Gaggiolo» di Grassobbio, ha smontato la batteria e l'ha portata in cantina.

E mentre lui si dedicava alla ristorazione lavorando come cassiere alla pizzeria «Le stagioni» di Orio di proprietà della sorella e del cognato, il magazzino di via De Amicis, di proprietà della famiglia Ciceri, continuava a far da deposito, coi suoi bravi furgoni che ogni giorno entravano dal portone in ferro e scaricavano ingranaggi per macchinari di grosse dimensioni sotto il carroponte, che li accompagnava al loro posto. «Sono rimasto alle Stagioni per quindici anni - racconta Simone - finché ho acquistato con mia moglie Bruna il bar Botticelli in Città Alta. L'ho tenuto per cinque anni, poi nel '93 ho aperto il Pasta e Basta, ancora con mia sorella e suo marito».

La batteria, al riparo dalle tentazioni, restava prigioniera in cantina. Ma certe sere a Simone sembrava che fosse lei a dettare il ritmo del suo cuore e a mantenere vivissimo quel sogno che aveva da ragazzo: vivere per la musica. Forse, se non ci si fosse messo anche il destino a pungolarlo, la gestione del Pasta e Basta l'avrebbe distolto dall'idea, ma la vita va dove vuole andare e per il Vigani non era tempo di trovar pace. Ai tavoli del ristorante cenava Paolo Cernuschi, un altro innamorato della musica, per anni cantante nella trasmissione «Incontri» e maestro di canto e pianoforte.

«Le cene col Cernuschi finivano sempre a parlar di musica, con lui che mi faceva ascoltare quello che aveva composto e io che sospiravo - ricorda Simone sorridendo -. A completare l'opera ci pensava Bruno Santori, il direttore dell'orchestra del festival di Sanremo, che tra una pastasciutta e un bucatino mi ha coinvolto nell'organizzazione di Autopalco, la manifestazione musicale con un palco itinerante che gira le piazze d'Italia per permettere ai gruppi emergenti di esibirsi».

Era tempo di cambiar vita, per il magazzino di via De Amicis. Dopo averlo svuotato, i Ciceri l'hanno affittato a un architetto che l'ha trasformato in uno studio. A volte ci organizzava delle esposizioni d'arredo di design. Poi anche l'architetto se n'è andato, la sorte s'è stancata di sentire i sospiri del Vigani mentre sparecchiava i tavoli e la batteria giù in cantina se n'è infischiata della polvere e s'è fatta sentire.

«Claudio Angeleri, direttore del Centro didattico di produzione musica, m'ha detto che in centro c'era un magazzino vuoto che sembrava fatto apposta per suonarci». Il Vigani ha tentennato giusto il tempo di borbottare qualche «Ma no, ma dai…» mentre prendeva le chiavi della Vespa per andare a darci un'occhiata. «Appena l'ho visto l'ho riconosciuto: un loft fatto apposta per far musica!». Erano passati quarant'anni da quando aveva chiuso la batteria in cantina, non era più un ragazzo. Si può credere in un sogno a sessant'anni? «No» s'è risposto il Vigani, perciò lo ha fatto diventare grande e l'ha chiamato progetto, con la complicità e il sostegno prezioso di suo nipote Cristiano Zanchi.

Il 23 settembre il vecchio il portone in ferro del vecchio magazzino Ciceri s'è spalancato per inaugurare il «Loft-food drink & music», il locale a due facce di Simone Vigani. A mezzogiorno il posto ideale per una pausa pranzo giovane. La sera, dopo cena, si trasforma in un palcoscenico per musica live di qualità, dal jazz all'unplugged, passando per i gruppi bergamaschi emergenti e quelli italiani che si sono fatti notare in Autopalco.

Il locale per l'inaugurazione era zeppo di gente; c'era anche Pietro Ghislandi a congratularsi con l'amico Simone. Al centro del palco, la regina è la batteria del Vigani, il pianoforte il suo re. S'abbassano le luci; il maestro Cernuschi improvvisa una melodia e Simone non resiste. Molla piatti e bicchieri, impugna le bacchette e gli va dietro. Se la felicità avesse una faccia, sarebbe quella del Vigani mentre suona.

«Sembra nato per vivere di musica» bisbiglia il vecchio carroponte, mentre dall'alto si gode lo spettacolo di un sogno che dopo quarant'anni prende il volo.
Francesca Grassi

© RIPRODUZIONE RISERVATA