La mamma: non sarà suo padre
«Voleva ucciderla prima che nascesse»

Spossata, le mani fasciate, come gambe e braccia. Ecchimosi un po' ovunque. Debora è la mamma di Sofia, nata martedì mattina. Ma non avrà il cognome del padre: «Non sarà mai il padre di mia figlia, che ha cercato di ammazzare».

Spossata, le mani fasciate, come gambe e braccia. Ecchimosi un po' ovunque e le costole doloranti. Il viso stanco per il parto e un po' per tutto, ma bello e luminoso come quello di ogni mamma. Sofia è nata martedì di buon mattino. Le contrazioni sono iniziate lunedì sera, qualche giorno prima del termine fissato per giovedì prossimo.

La bambina è venuta al mondo nonostante tutto e sta bene, anche se resta sotto osservazione nella Patologia neonatale del «Bolognini» di Seriate, dove Debora M. è arrivata lunedì mattina da Cividino, su un'ambulanza a sirene spiegate lasciandosi dietro una scia di sangue e terrore. Nei disegni della mamma e di quel papà che ha tentato di ucciderla ancor prima di nascere, Sofia avrebbe dovuto chiamarsi Selma, come la madre di lui che abita in Tunisia. Poi lunedì suo papà ha preso un coltello da cucina con la lama di 20 centimetri e ha colpito più volte la donna.

«Ero salita da una vicina – racconta Debora – perché ero stanca, stanca di aver paura, stanca di vivere nel terrore continuo. Lui era diventato violento, beveva e aveva cominciato a usare la cocaina. Sentivo che prima o poi mi avrebbe fatto del male». Lui, tunisino di 26 anni irregolare in Italia, lunedì esce dal piccolo monolocale ricavato da un ex negozio di parrucchiera in via San Francesco a Cividino, dove la coppia abitava da circa un anno e suona al citofono della vicina a cui Debora, 42 anni e due figlie di 20 e 13 avute da una precedente relazione, aveva bussato per cercare un po' di conforto e una tazza di latte per la colazione. «Mi dice di andar giù che deve darmi le chiavi di casa. Quando scendo, ha in mano il coltello della cucina e comincia a colpirmi, con la punta mira alla pancia. Per proteggere la mia bambina mettevo davanti mani e braccia» racconta Debora mostrando le bende.

La vicina che l'aveva accolta chiama i carabinieri che da Grumello arrivano poco dopo. Soccorrono la donna e vanno a caccia del convivente, che era rientrato nel monolocale, si era cambiato la maglietta e stava lavando quella insanguinata prima di andarsene, presumibilmente con la bici che nel frattempo aveva portato fuori dalla casa affacciata direttamente sulla strada. Ora è in carcere, con l'accusa di tentato omicidio.

Debora, originaria della Puglia, era arrivata con l'ex convivente a Tagliuno qualche anno fa. La coppia ha due figlie, poi i genitori si lasciano e le ragazze restano con la mamma. Debora, che vive con una pensione di invalidità parziale, l'anno scorso conosce Helmi Ghraidia, che all'epoca aveva 25 anni e stava da un cugino. In Italia da almeno una decina di anni, è in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, nel frattempo si arrangia con qualche lavoretto e i carabinieri lo arrestano più volte per spaccio di droga. «Ma quando io l'ho conosciuto – ricorda Debora – sembrava un bravo ragazzo. E io avevo messo in chiaro che le mie abitudini di italiana non si cambiano. Per abitudini intendo che posso uscire di casa per far la spesa, fare le mie commissioni, non certo andare con altri uomini. Lui sembra convinto, così io affitto la casa di Cividino e traslochiamo insieme. Rimango incinta e dopo poco comincia a tormentarmi con la storia della gelosia, un tormento continuo». Lunedì l'epilogo. «Stavolta ho visto la morte. L'ho disconosciuto: non sarà mai il padre di mia figlia, che ha cercato di ammazzare ancora prima di nascere».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 5 giugno

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