Delitto di Vertova: Alì Ndiogou
«Non ho ucciso io Maria Grazia»

«Non ho ucciso io Maria Grazia Pezzoli». Nell'udienza di venerdì 30 ottobre per il delitto di Vertova che vede come imputato il senegalese Alì Ndiogou, 40 anni, accusato di aver ucciso a coltellate il 24 luglio 2008 l'imprenditrice di 45 anni, c'è stata deposizione proprio dell'imputato che ha negato tutto.

Ndiogou, ex dipendente del marito della vittima, avrebbe ucciso la donna nell'ufficio sul retro dell'abitazione dopo essersi visto rifiutare i 48 mila euro che reclamava dopo un licenziamento ritenuto ingiusto. A incastrarlo sarebbero le prove del Dna.

Il senegalese, in un'ora e venti di interrogatorio, dalle 11,20 alle 12,40, ha respinto tutte le accuse, peraltro con motivazioni molto deboli su diversi punti. Una vicina della vittima, Mariella Civino, aveva testimoniato di aver visto uscire l'imputato dalla porta della casa dell'imprenditrice il giorno dell'omicidio verso le 13,30, proprio l'ora in cui Maria Grazia Pezzoli era stata uccisa, e di aver riconosciuto successivamente l'extracomunitario durante un servizio in televisione. 

Alì Ndiogou ha commentato che la vicina avrebbe dovuto riconoscerlo immediatamente e dopo, visto che si conoscono da sei anni. «Non ero io, non sono uscito da quella casa il 24 luglio 2008, anche perché quel giorno non ero nemmeno a Vertova».

Il senegalese, come alibi, ha asserito che era nell'agenzia Adecco di Albino nell'ora dell'omicidio, mentre una nipote di Ndiogou ha confessato di averlo visto lì soltanto alle 15,30 e un'impiegata dell'agenzia ha parlato di un'orario dopo le 17.

Il senegalese non ha saputo spiegare come mai sotto la finestra della casa della vittima siano state trovate gocce di sangue con il suo dna («Non lo so, non è il mio sangue, il taglio che avevo in una mano me lo ero fatto a casa perché si era rotto un vetro del bagno»), e nemmeno come tracce del suo dna e di quello della vittima sia stata rinvenute in un pezzo di Scottex trovato nella camera da letto.

Quanto al pezzo di pantolone, con tracce del suo sudore e sangue della vittima, e a un portatessera con le sue impronte trovato insieme a vari documenti e a una foto stracciata di Giuseppe Bernini, marito della vittima, ad Albino due giorni dopo, Alì Ndiogou ha replicato che se avesso rubato lui il portafogli del marito (il furto risale al 2006) avrebbe preso i soldi e l'avrebbe buttato subito, non l'avrebbe conservato due anni.

Infine, il senegalese ha sottolineato di aver sempre considerato l'imprenditrice una brava persona, dalla quale una volta aveva anche ricevuto in regalo una maglietta, e di aver avuto screzi di lavoro soltanto con il marito della vittima.

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