Bossetti, conclusa la quinta udienza
La Scientifica: erba nel pugno di Yara

Si è conclusa verso le 16 del 2 ottobre la quinta udienza del processo a carico di Massimo Bossetti, accusato del delitto di Yara. Oggi si è parlato del sopralluogo della polizia sul campo dove fu trovata Yara.

Nel pomeriggio ha deposto il sostituto commissario Dario Redaelli della Scientifica di Milano, che coordinò il sopralluogo e i rilievi tecnici al campo di via Bedeschi, quando in mezzo ai rovi e agli sterpi venne trovato il corpo di Yara.Redaelli ebbe l’impressione che Yara, quando fu trovata morta, stringesse «nel pugno destro dell’erba ancora attaccata a terra». Il funzionario di polizia, che intervenne il 26 febbraio 2011 nel campo di Chignolo d’Isola in cui fu trovato il cadavere della 13enne, ricostruendo le operazioni per «congelare» la scena del delitto, ha confermato quanto dichiarato, l’udienza scorsa, dall’ex comandante del Ros di Brescia, ora a Torino, Michele Lorusso, sul fatto che la ragazzina stringesse dell’erba ancora radicata al terreno.

Una circostanza, questa, che confligge con l’ipotesi, più volte avanzata dalla difesa di Massimo Bossetti, secondo la quale la ragazza potrebbe essere stata uccisa altrove e poi portata successivamente nel campo. «Vedremo dalle immagini - hanno detto gli avvocati di Bossetti Claudio Salvagni e Paolo Camporini - che non è così. Quella del funzionario era solo un’impressione». Redaelli, in aula, ha ricostruito nel dettaglio le operazioni con cui fu delimitata la zona entro la quale furono cercati i reperti (13 oggetti in un’area di circa 7 mila metri). Operazioni che durarono dalle 17.20 del 26 febbraio fino alle 18 del giorno dopo, interrotte solamente per l’ispezione del cadavere che fu esclusivo compito del medico legale e dei suoi assistenti, l’anatomopatologo Cristina Cattaneo che deporrà nella prossima udienza, il 7 ottobre. «Tutto il personale della polizia scientifica - ha detto Redaelli - fu “tipizzato”, nel senso che fu prelevato a tutti gli agenti il Dna.

Al termine dell’udienza ha parlato con i giornalisti la sorella di Massimo Bossetti, Laura Letizia: «È assolutamente innocente, ne sono convinta e per me mio padre è sempre Giovanni Bossetti. Massimo non c’entra niente». La donna, che assiste a tutte le udienze, in quanto non è testimone, oggi ha cercato di avvicinarlo, ma ha desistito dall’entrare in contatto con lui, visto che era circondato dagli agenti della polizia penitenziaria. «L’ho visto sereno come sempre - ha detto Laura Letizia -. E anche gli agenti sono sempre molto gentili con lui». Ma il Dna dice che Massimo non è figlio di Giovanni, le è stato detto. «Per me mio padre è e rimane Giovanni, poi si vedrà».

Si è conclusa poco prima delle 14 la deposizione di Gianpaolo Bonafini, l’ex capo della mobile di Bergamo. Bonafini, oggi capo di gabinetto alla questura di Venezia, in aula ha spiegato che il percorso dall’impianto sportivo da cui Yara era scomparsa e il campo «non è lineare» e contempla «strade secondarie» che difficilmente chi non conosce al zona poteva percorrere.

La testimonianza di alcune persone che, nelle fasi iniziali dell’indagine sulla sparizione di Yara Gambirasio rilasciarono dichiarazioni che, però, risultarono inesatte e non trovarono riscontro, sono state oggetto di parte del controesame dell’ex capo della Mobile di Bergamo, Gianpaolo Bonafini, a opera degli avvocati di Massimo Bossetti. Al termine dell’udienza i difensori hanno parlato di «lacune e dubbi che restano in un’inchiesta amplissima» e in cui «restano molti punti oscuri».

Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini hanno chiesto conto al funzionario della Polizia di Stato di tutti gli accertamenti su dichiarazioni rese da testimoni che avevano raccontato di aver visto due persone nei pressi dell’abitazione della ragazza. Dichiarazioni che, però, non collimavano con i tempi della scomparsa di Yara e, in un caso, nemmeno con i tabulati telefonici di uno dei testi. Alcune domande hanno riguardato anche il custode della palestra da cui scomparve la tredicenne, che aveva a disposizione un furgone della società di ginnastica per il trasporto degli atleti. Il mezzo non fu analizzato in quanto, ha spiegato Bonafini, a carico dell’uomo «non era emerso nulla».

Fu nel maggio del 2011 che i carabinieri del Ris isolarono il Dna di Ignoto 1, trovato sul corpo di Yara Gambirasio. L’ex capo della Mobile di Bergamo, Gianpaolo Bonafini, ora a Venezia, ha ricostruito le indagini scientifiche che portarono all’identificazione di Bossetti nel processo a carico del muratore in corso davanti ai giudici della Corte d’Assise di Bergamo. Il 21 ottobre del 2011 poi, la Polizia scientifica comunicò che uno dei Dna prelevati a una rosa di 476 persone sulle oltre 30mila che avevano frequentato nei cinque anni precedenti la discoteca Sabbie Mobili, accanto al campo di Chignolo d’Isola in cui fu trovato il corpo di Yara Gambirasio, il 26 febbraio del 2011, aveva un «aplotipo Y uguale a quello trovato sugli slip» della ragazza uccisa. Questo Dna apparteneva a un componente della famiglia di Giuseppe Guerinoni, l’autista di autobus morto nel 1999 e che le indagini appurarono poi essere padre naturale di Massimo Bossetti, unico imputato per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra.

Le indagini si concentrarono anche sui dipendenti delle 14 aziende nei pressi del campo e furono sentite quasi 800 persone. Poi si prese in esame la discoteca Sabbie Mobili, anche perché qualche mese prima, nei pressi era stato trovato il corpo di un ragazzo sudamericano ucciso. Delle 31.926 persone tesserate negli anni precedenti,incrociando stati di famiglia e altre caratteristiche, si giunse a una rosa di 476 persone che furono sentite come testimoni e a cui fu prelevato il Dna. Tra queste Damiano Guerinoni, nipote di Giuseppe. Il giovane, nel periodo della sparizione di Yara, era all’Estero e non poteva aver avuto un ruolo nella vicenda. Le successive indagini scientifiche su un eventuale figlio illegittimo dell’autista di Gorno, che secondo la ricostruzione degli inquirenti, ebbe una relazione con la madre di Bossetti,Ester Arzuffi, portarono prima alla donna e poi al suo figlio maggiore, Massimo, fermato il 16 giugno del 2014.

Inoltre, gli investigatori ipotizzarono che «chi l’aveva portata lì» «era nato in quella zona, oppure vi viveva o la frequentava per motivi di lavoro» lo ha detto Bonafini. L’ipotesi che l’assassino di Yara conoscesse la zona deriva dal fatto che il percorso dall’impianto sportivo da cui Yara era scomparsa tre mesi prima e il campo «non è lineare» e contempla «strade secondarie» che difficilmente chi non conosce la zona poteva percorrere.

In aula sono due testimonianze. La prima è appunto quella del primo dirigente di polizia Giampaolo Bonafini, oggi capo di gabinetto alla questura di Venezia, ma all’epoca della scomparsa di Yara (e fino a qualche tempo prima del fermo di Bossetti) capo della squadra mobile della questura di Bergamo. Fu lui a coordinare il blitz alla discoteca Sabbie Mobili di Chignolo, grazie al quale si giunse a imboccare la pista del Dna che ha portato fino al padre biologico di Ignoto 1, Giuseppe Guerinoni.

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