Bossi va verso il processo
«Una truffa da 40 milioni»

Con oltre mezzo milione di euro di soldi pubblici, ottenuti dalla Lega come rimborsi elettorali, la famiglia Bossi si sarebbe pagata le spese private più varie: dalle multe per migliaia e migliaia di euro al carrozziere, fino alla laurea in Albania di Renzo «il Trota».

Con oltre mezzo milione di euro di soldi pubblici, ottenuti dalla Lega come rimborsi elettorali, la famiglia Bossi si sarebbe pagata le spese private più varie: dalle multe per migliaia e migliaia di euro al carrozziere, fino all’ormai famosa laurea in Albania di Renzo «il Trota» e ai lavori di casa a Gemonio.

Così mentre Umberto Bossi ci riprova, correndo per le primarie del Carroccio fissate per il 7 dicembre, la Procura di Milano si avvia verso la richiesta di rinvio a giudizio a carico suo e di altre 9 persone, tra cui i figli Renzo e Riccardo e l’ex vicepresidente del Senato Rosi Mauro, dopo aver chiuso le indagini su quello scandalo che ha travolto il partito nella primavera del 2012, portando alle dimissioni del Senatur da segretario.

«Questa cosa non mi aiuta certo ... una cosa che esce proprio adesso e mi lascia sconcertato”, ha commentato lo storico leader. Intanto, dall’avviso di conclusione delle indagini emergono due nuovi elementi che aggravano la sua posizione: a Bossi, infatti, viene contestata anche l’appropriazione indebita, oltre alla truffa aggravata ai danni dello Stato che sarebbe stata messa in atto attraverso i falsi rendiconti-spese presentati a Camera e Senato per far incassare illecitamente al partito circa 40 milioni di euro di rimborsi (per gli anni 2008-2009-2010), molto più di quei 18 milioni emersi finora.

Soldi poi utilizzati in parte, stando all’inchiesta del procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dei pm Roberto Pellicano e Paolo Filippini, a fini privati dalla cosiddetta ’The Family’ (dall’intestazione della cartelletta che venne trovata nella cassaforte dell’ex tesoriere Francesco Belsito). Tra il 2009 e il 2011, Umberto Bossi avrebbe speso, secondo i pm, oltre 208 mila euro di soldi pubblici: significativo l’assegno da 20 mila con la dicitura «Casa Capo Lavori». E poi cartelle esattoriali, «lavori edilizi» per la casa di Gemonio (1.583 euro), assegni da 50 mila euro, 160 euro per «acquisto regalo di nozze», 27 mila euro per «abbigliamento», gioielli, 1.500 euro di dentista, 81 mila euro per lavori in una casa a Roma.

Per Renzo più di 145mila euro di spese: migliaia di euro in multe, 3mila euro di assicurazione auto, 48mila euro per comprarsi una macchina e 77mila euro per la «laurea albanese». Riccardo, invece, ha speso quasi 158mila euro per pagare «debiti personali», «noleggi auto», le rate dell’Università dell’Insubria, l’affitto, il «mantenimento dell’ex moglie», l’abbonamento della pay-tv, «luce e gas» e anche il «veterinario per il cane».

Rosi Mauro poi, 77mila euro degli oltre 99mila contestati, li ha usati per far prendere la «laurea albanese» anche a Pierangelo Moscagiuro, suo ex bodyguard. Belsito si è ritagliato la fetta principale delle spese: 2,4 milioni di euro, di cui 1.500 euro usati per «acquisto di armi e munizioni». L’ex tesoriere avrebbe fatto anche tanti prelievi in assegni dalle casse del partito, soldi finiti chissà dove. Altri 5,7 milioni, invece, sono volati con i famosi investimenti in Tanzania e Cipro.

I pm descrivono il tutto come un «cerchio magico, che sarebbe stato alimentato con favoritismi ed elargizioni a danno del patrimonio della Lega». Da via Bellerio, nel frattempo, fonti qualificate fanno notare che il movimento «è parte lesa, vittima» del quadro emerso dall’inchiesta e che «dal 2011, da quando segretario è Roberto Maroni, i bilanci della Lega sono certificati».

Tirando le fila di una complicata indagine i pm milanesi e gli investigatori del Nucleo di polizia tributaria della Gdf hanno cercato il più possibile di ricostruire la «contabilità» della Lega. Definita negli atti «del tutto inattendibile e in larga misura priva di documenti giustificativi di spesa». Fatta di «nero» e di un ’«fiume di denaro contante in uscita» per quasi 4 milioni di euro tra il 2008 e il 2011.

Gli inquirenti, in ogni caso, hanno applicato una «rigorosa regola probatoria»: le uscite di cassa, anche se non contabilizzate, non sono state contestate se sono servite a coprire iniziative del «partito». E alla fine hanno chiesto l’archiviazione per Manuela Marrone, la moglie di Bossi, per Roberto Calderoli e per l’ex consulente legale Matteo Brigandì. I pagamenti per «l’abitazione di Roma di Calderoli», ad esempio, possono rientrare nelle spese per «l’attività politica».

Igor Greganti

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