Città Alta, persa l’anima popolare
L’appello: riportiamoci la gente

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato lo sfratto alla storica latteria Locatelli. «Potranno restare lì fino al 31 dicembre 2014» commenta sconsolato Aldo Ghilardi, presidente della Cooperativa Città Alta. E lì c’erano da 55 anni, un pezzo di storia.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato lo sfratto alla storica latteria Locatelli all’angolo tra via Salvecchio e la Corsarola. «Potranno restare lì fino al 31 dicembre 2014» commenta sconsolato Aldo Ghilardi, presidente della Cooperativa Città Alta. E lì c’erano da 55 anni, un pezzo di storia.

«Vede, per molto, troppo, tempo, abbiamo parlato solo di auto in Città Alta e mai di persone» prosegue. «Il concetto di comunità è purtroppo sempre venuto meno con il passare degli anni: abbiamo assistito ad una disgregazione enorme del tessuto sociale. Qui ora c’è la medio-alta borghesia: i ceti popolari non ci sono più».

Lo si evince anche dalla lettura in controluce dei numeri del commercio «concetto legato strettamente alla residenza». Tra bar e ristoranti ci sono 41 esercizi, 102 i negozi, 4 gli acconciatori, 6 gli artigiani alimentari, 3 le edicole: «E 32 attività ricettive, ma con la crescita esponenziale di bed&breakfast, la tipologia nettamente più diffusa, saranno anche di più». Sono numeri che «dimostrano come Città Alta si stia svuotando». Secondo le statistiche demografiche, i residenti dentro le Mura sono poco più di 2.200: «Ma un conto è la residenza, un altro abitarci davvero».

E tutto cambia «anche la tipologia del commercio, sempre più rivolta a chi arriva dall’esterno, non a chi ci abita. Non ci sono più i negozi di vicinato nel senso classico e reale del termine. Abbiamo un macellaio uno, e i panifici non sono più panifici, ma qualcosa di molto diverso, dei mezzi bar: due fruttivendoli che sembrano boutique, roba bella, ma carissima».Colpa degli affitti troppo alti («I locali lasciati liberi dalla gastronomia Mangili sono ancora vuoti...») e della sostanziale «mancanza di residenza, qui non c’è più comunità». E Ghilardi lo dice da un punto di vista privilegiato: «Come presidente della Cooperativa Città Alta posso dire di essere una delle due stampelle, insieme all’oratorio: il resto si sta purtroppo disgregando. Mi vogliono spiegare che ci fa sulla Corsarola un negozio patrocinato dall’Alto Adige e sopra appartamenti sfitti?».

Per saperne di più leggi L’Eco di Bergamo del 27 gennaio

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