La Corte di Appello di Brescia
nega l’estradizione di Hamado

La Corte di Appello di Brescia ha rigettato la richiesta di estradizione avanzata dallo Stato del Burkina Faso per assenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Dabre Hamado, residente nella Bergamasca e accusato di omicidio.

La Corte di Appello di Brescia ha rigettato la richiesta di estradizione avanzata dallo Stato del Burkina Faso per assenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti di Dabre Hamado, soggetto residente in Italia (precisamente nella provincia di Bergamo) da ormai quindici anni, accusato nel paese d’origine di aver avvelenato una donna, al termine di un incontro amoroso nella camera di un motel a ore.

La vicenda, che ha avuto ampia eco nei quotidiani (anche perché è la prima volta che la Corte d’Appello di Brescia si trova ad affrontare una tale richiesta dallo Stato Africano), ha preso avvio nel dicembre del 2012, allorquando il sig. Dabre è stato tratto in arresto con la pesantissima accusa di omicidio sulla base di un mandato di cattura internazionale spiccato dalle Autorità Giudiziarie di Ouagadougou (Burkina Faso).

Dabre, marito e padre di due figli (di cui uno affetto da una grave disabilità), ha trascorso in carcere oltre quaranta giorni, attendendo che lo Stato Estero formalizzasse la domanda di estradizione. Quest’ultima, giunta per le vie diplomatiche all’attenzione della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Brescia solo nel maggio 2013, chiedeva la consegna dell’estradando, ritenuto responsabile del reato di omicidio della signora Banoro Fatoumata. La donna, che si era appartata con Dabre in un motel a ore della capitale, era stata rinvenuta in stato comatoso da alcuni addetti dell’albergo, mentre l’indiziato quella stessa sera si era imbarcato su un volo facente ritorno in Italia.

Chiari, secondo l’Autorità Giudiziaria Estera, gli elementi di accusa contro Dabre, ultimo a vedere in vita la donna (deceduta in un ospedale locale qualche ora dopo il ritrovamento), prima di darsi alla fuga.

Apparentemente una vicenda giudiziaria dall’esito scontato. Ma ad un attento esame la documentazione, scarna e lacunosa, inviata dallo Stato estero presentava profili di grave ambiguità.

Come evidenziato dall’avvocato Alfio Bonomo, che unitamente all’avvocato Ilaria Longhi, ha seguito Dabre nell’intera vicenda, agli atti non vi era traccia del referto autoptico che attestasse le cause del decesso, delle indagini svolte dalla polizia locale, delle dichiarazioni rilasciate dagli addetti al motel (che per primi rinvennero la donna). Inconsistente anche l’accusa della presunta fuga dell’omicida: quel volo era stato prenotato già da tempo, come documentalmente provato.

«Inspiegabilmente, poi - riferisce l’avvocato Bonomo - l’Autorità Giudiziarie del Burkina Faso dichiarava alle Autorità Italiane di voler perseguire Dabre per il reato di omicidio semplice (punito con la reclusione a vita), sebbene la denuncia sporta parlasse di “avvelenamento”, ovvero di reato che in Burkina Faso è punito con la pena di morte per fucilazione, condizione quest’ultima che non avrebbe mai consentito la concessione dell’estradizione.

«Questa vicenda - dichiara l’avvocato Bonomo - conclusasi positivamente per Dabre grazie all’ottimo lavoro svolto dalla Procura e dalla Corte d’Appello di Brescia, non può non richiamare alla mente la diversa sorte di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, i due marò accusati di aver ucciso due pescatori mentre erano in servizio antipirateria in India. Come per il Burkina Faso, anche tra Italia ed India non esiste convenzione che regoli l’estradizione (la quale viene richiesta per mera cortesia e rimane soggetta al vaglio preventivo della Corte d’Appello Italiana in ordine alla esistenza di gravi indizi di colpevolezza ed all’assenza di condizioni ostative per la consegna)».

«Come nel caso di Dabre, anche l’ordinamento Indiano prevede ed applica per alcune specifiche fattispecie di reato la pena di morte. A differenza di Dabre, che si è opposto alla consegna e che ha goduto del vaglio dell’organo giudiziario, i due militari nel marzo del 2013 sono stati “riconsegnati” all’India, nonostante per il nostro ordinamento il diritto alla vita goda di una tutela ben maggiore di mere rassicurazioni. Anche il Tribunale di Ouagadougou aveva dato rassicurazioni circa la non applicazione della pena capitale, rassicurazioni ritenute insufficienti dalla Procura e dalla Corte d’Appello. Il bene supremo della Vita non può essere oggetto di alcuna forma di trattativa, a nulla rilevando le rassicurazioni di chicchessia, siano essi organi di natura giudiziaria o politica di qualsiasi livello. La consegna dei nostri soldati stride con uno dei principi fondamentali del nostro Ordinamento, che tutela il bene fondamentale della vita in modo pieno e assoluto».

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