Ucciso a bastonate a Verdellino
Arresto convalidato per i 2 colleghi

Arresto convalidato, restano in carcere i due uomini sottoposti a fermo nei giorni scorsi per concorso in omicidio di Malaj Shkelzim, l’albanese di 38 anni il cui cadavere è stato trovato con la testa fracassata l’8 dicembre a Verdellino.

Arresto convalidato, restano in carcere i due uomini sottoposti a fermo nei giorni scorsi per concorso in omicidio di Malaj Shkelzim, l’albanese di 38 anni il cui cadavere è stato trovato con la testa fracassata l’8 dicembre a Verdellino.

I due connazionali, colleghi di lavoro della vittima, che abitano nel Milanese, sono stati entrambi catturati venerdì scorso: Antil Sheshi, 36 anni, preso a Gattinara, in provincia di Vercelli e Marvin Kurti, 29 anni preso a Cambiago, in provincia di Milano. In carcere a Bergamo il gip del tribunale ha convalidato l’arresto.

I carabinieri dell’Aliquota operativa di Treviglio sono arrivati ai due albanesi grazie ai tabulati telefonici, alle celle e al racconto della moglie di Malaj. Pare – secondo le prime indiscrezioni – che i tre, operai in un’impresa edile del Milanese, avessero litigato un paio di giorni prima dell’omicidio. Malaj si sarebbe quindi incontrato con gli altri due la sera prima del delitto per regolare i conti e la lite, grazie a massicce dosi di alcol, sarebbe degenerata fino a sfociare nel tremendo pestaggio che ha portato alla sua morte.

Il corpo dell’operaio era stato trovato la mattina dell’8 dicembre, poco prima delle 8, da una coppia di Verdellino che stava portando a spasso il cane in via Garibaldi, una stradina a fondo chiuso che attraversa i campi. Aveva il volto sfigurato dalle bastonate ma non erano state trovate armi né altre tracce degli aggressori sul luogo del delitto. Malaj non aveva documenti ed era stato identificato soltanto nel pomeriggio, quando la moglie era andata in caserma a Zingonia per denunciare la scomparsa del marito, uscito di casa sabato sera senza più dare notizie di sè. E sarebbe stata lei a raccontare agli inquirenti che Malaj, dopo aver ricevuto una telefonata, aveva detto di avere un appuntamento con Sheshi e Kurti.

Malaj Shkelzim abitava a poca distanza dal punto in cui è stato ucciso. Da agosto viveva al quarto piano di una de «Le quattro torri» di Zingonia, in via degli Oleandri, con la moglie e due figlie di 2 e 7 anni. Prima abitava a Molfetta, nel Barese. Non aveva l’auto e i colleghi di lavoro andavano a prenderlo a casa per portarlo in cantiere.

La dinamica del delitto aveva fatto subito pensare a un omicidio d’impeto, commesso con grande rabbia e violenza probabilmente da più persone. Di certo era avvenuto lì, in quella stradina, dove erano state trovate grosse macchie di sangue. Ma nessuno aveva visto o sentito nulla. La zona infatti è molto isolata e circondata da campi. Il telefonino di Malaj non era stato ritrovato e i carabinieri sono partiti proprio dai tabulati per risalire alle telefonate fatte e ricevute nelle giornate precedenti all’omicidio. Seguendo l’ipotesi del delitto d’impeto si era pensato che gli assassini potessero aver commesso qualche errore, come tenere addosso i cellulari. E così hanno verificato quali numeri, nella nottata tra il 7 e l’8 dicembre, avessero agganciato le celle di via Garibaldi. Hanno parlato anche con i colleghi di lavoro, per capire se Malaj avesse discusso con qualcuno, e non ci è voluto molto per incrociare tutti i dati e risalire a Sheshi e Kurti. I tre colleghi, la notte di sabato, avrebbero nuovamente discusso dopo aver passato la sera a ubriacarsi. E i due avrebbero picchiato Malaj con bastoni e pietre trovati nel campo, che poi hanno fatto sparire.

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