Crisi in Ucraina: «Russia, ok alle sanzioni ma danni per alcune imprese orobiche»

Lo scenario Esportazioni in forte calo già dal 2014: passate da oltre 261 milioni ai 168 di due anni fa. Crollo di vendite di macchinari, metalli e tessile-moda.

Le imprese bergamasche guardano col fiato sospeso l’escalation della crisi innescata da Putin con l’Ucraina. Pur d’accordo sulle sanzioni che scatteranno, l’Italia capisce che avrebbe molto da perdere, essendo la terza economia dell’Ue e la decima a livello mondiale in termini di export verso la Russia.

Già le sanzioni in atto dal 2014 a seguito della crisi con la Crimea hanno ridotto drasticamente le relazioni commerciali con Mosca: il «made in Italy» complessivo è crollato dai 13 miliardi di euro del 2014 ai 7 miliardi del 2020, ma le cose non sono andate meglio per le vendite orobiche. Secondo dati elaborati dalla Camera di commercio di Bergamo, le esportazioni verso la Federazione sono scese dagli oltre 261 milioni del 2014 ai 168 milioni del 2020 .

La preoccupazione del settore agroalimentare

Si sono praticamente dimezzate le esportazioni di macchinari, passate da 111 milioni a 60, e hanno perso il 60% i metalli di base e prodotti in metallo, seconda voce dell’export bergamasco verso la Russia, calati da 51 a circa 20 milioni. È stata una vera débacle anche per prodotti tessili, abbigliamento e pelli: nel 2014 le nostre aziende ne esportavano 21,4 milioni, scesi a 8,2 nel 2020. Stessa sforbiciata per il comparto legno-carta, sceso da 13,6 milioni ad appena 4,5.

Segno più invece per la gomma e l’alimentare, ma il settore caseario è già in allarme

Pochi i segni positivi: la gomma ha vissuto un incremento costante, passando tra il 2014 e il 2020 da 7,3 milioni a quasi 20, così come il settore alimentare, che otto anni fa valeva meno di 4 milioni e nel 2020 ha superato i 10 . Ma proprio tra le aziende agroalimentari bergamasche i timori per le conseguenze della crisi in atto sono forti, in particolare per quelle casearie, che negli ultimi tempi avevano già diminuito i flussi commerciali verso Mosca.

La parola alle imprese bergamasche

Conferma gli effetti delle sanzioni in vigore dal 2014 Giorgio Donadoni, fondatore della Comac di Bonate Sotto , specializzata nella produzione di impianti di infustamento e imbottigliamento per birra e bevande, acquisita la scorsa primavera dal gruppo canadese Ats. «Le esportazioni verso la Russia rappresentavano il 10-15% del nostro fatturato - dice Donadoni, che è anche presidente del gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo - ma negli ultimi due anni le vendite si sono ridotte e negli ultimi sei mesi si sono completamente azzerate, perché seguiamo la policy del gruppo Ats, che rispetta l’embargo americano». Lavora da tanti anni con la Russia la Lovato Electric di Gorle , che nel 2015 ha aperto una filiale commerciale a Mosca. «Abbiamo rapporti anche con l’Ucraina - spiega Massimiliano Cacciavillani, ceo dell’azienda specializzata in componenti elettrici per automazione industriale - ed è assurdo pensare che possa scoppiare una guerra poco lontano da casa nostra. Questo inizio d’anno per noi è stato molto positivo e in Russia nel nostro settore c’è pochissima concorrenza, ma l’incertezza è forte, perché se la situazione dovesse precipitare ne subiremmo le conseguenze».

La sua azienda non ha avuto finora contraccolpi, ma è preoccupato anche Roberto Sestini, presidente del gruppo chimico Siad , che ha un ufficio commerciale a Mosca e con Siad Macchine esporta in Russia impianti per la produzione di gas tecnici e compressori per il gas. «Al primo posto c’è il pensiero per le vite umane, ma non dimentichiamo anche le ricadute sull’economia. A fronte delle sanzioni europee e americane, Mosca potrebbe decidere di chiudere le forniture di metano: questo sarebbe un danno gravissimo per le imprese, ma anche per i cittadini, visto che il 35% dell’energia che usiamo arriva dalla Russia».

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