«Isolamento e sguardo al passato
i veri limiti della nostra provincia»

Innovare gli enti locali, riformare la pianificazione, promuovere lo sviluppo dal basso, essere protagonisti del nuovo assetto istituzionale: sono queste le priorità che il presidente di Confindustria Bergamo, Ercole Galizzi, indica ai candidati per le «amministrative».

Innovare gli enti locali, riformare la pianificazione, promuovere lo sviluppo dal basso, essere protagonisti del nuovo assetto istituzionale: sono queste le priorità che il presidente di Confindustria Bergamo, Ercole Galizzi, indica ai candidati in corsa per le «amministrative» del prossimo 25 maggio. E nel pomeriggio di mercoledì 21 maggio sono attese anche le proposte unitarie dei sindacati.

In più di una occasione lei ha invitato la città di Bergamo a passare da «salotto» a «piazza»: perché?


«Bergamo deve crescere e, per sviluppare le sue vocazioni, deve condividerle con i Comuni confinanti e con tutta la vasta area che la contorna: non essere un salotto, ma una piazza. Solo così non si perderanno le occasioni di lavoro e di fare impresa. La grande Bergamo resta un obiettivo strategico rilevante perchè un governo coordinato della località centrale può essere motore di sviluppo. La città si è candidata legittimamente a capitale europea della Cultura 2019 con un progetto ampiamente condiviso e l’inattesa esclusione ha provocato un’innegabile delusione. È intelligente comprendere le ragioni dell’esclusione che probabilmente possono essere ricondotte a due limiti oggettivi: la mancanza di alleanze, cioè l’isolamento, e l’attenzione al passato piuttosto che al futuro, ad una nuova progettualità».

È sempre favorevole alla fusione dei piccoli Comuni?


«Già prima della crisi Confindustria Bergamo aveva sollecitato i Comuni più piccoli a fondersi, a “fare insieme” le attività più dispendiose e, soprattutto, a raggiungere una massa critica efficiente ed efficace per i servizi. In uno studio diffuso nel 2010 con riferimento ai bilanci del 2008, si stimava che i risparmi realizzabili in provincia di Bergamo (capoluogo escluso) erano pari al 3,2% del costo annuo dei Comuni. Si potevano risparmiare, solo nella provincia di Bergamo, 42 milioni, equivalenti a poco più di 60 euro per abitante e senza licenziare nessun dipendente. La razionalizzazione avrebbe premiato i Comuni più deboli, quelli di dimensione minore, quelli che più hanno dovuto pagare i costi della crisi. Queste risorse avrebbero potuto essere liberamente destinate a un contenimento delle addizionali, a migliorare e estendere i servizi o, meglio ancora, ad aumentare gli investimenti che, già allora, potevano essere considerati insufficienti. Dalla parte dei cittadini la gestione associata, poi, avrebbe potuto consentire servizi migliori. Nei due anni successivi le prestazioni ai cittadini sono diminuite di 57,4 euro pro capite, la fiscalità è aumentata di 5,5 punti e gli investimenti sono scesi del 25%».

Presto diremo addio anche alle Province.


«In Lombardia, dove opererà l’ Area Metropolitana Milanese, avremo una nuova sfida, riassumibile nel seguente dilemma: Bergamo è parte dell’area milanese, e quindi deve sviluppare sinergie e interazioni rafforzando il proprio ruolo di area della produzione intelligente (industria avanzata più servizi ad alta intensità di conoscenza), diventando così partner del capoluogo regionale, oppure Bergamo deve stringere un’alleanza forte con l’area pedemontana che ha la medesima specializzazione produttiva e diventare parte di un’area manifatturiera di dimensione almeno europea, alternativa e distinta dall’area metropolitana milanese? La risposta a questa domanda disegna il prossimo futuro e indica in quale direzione indirizzare gli investimenti».

Che progetto territoriale ha in mente la Bergamasca?


«Bergamo è un’area altamente appetibile, ma la concorrenza cresce. Lo sviluppo potrebbe essere inadeguato alla mole d’investimenti se non sarà accompagnato da un marketing territoriale all’altezza dell’offerta e della domanda. Il “Prodotto Bergamo” deve essere un mix di opportunità condivise e non in competizione fra loro. Nell’immediato è necessario mettere a frutto l’occasione BreBeMi che può essere premiante solo in un disegno sovra-comunale che garantisca lo sviluppo ai tre settori attraverso la tutela della risorsa agricola, l’espansione nel baricentro dell’Italia settentrionale della manifattura contemporanea e del nuovo terziario. L’azione fondamentale di marketing ha una data d’inizio certa: l’Expo 2015, quando il mondo ci verrà a trovare. Il rafforzamento della pianura e il consolidamento della fascia pedemontana mettono in evidenza la questione delle Valli bergamasche che, complessivamente, scontano un declino soprattutto nei Comuni meno accessibili alle persone e alle imprese. Per le valli: l’agricoltura di montagna è una risorsa ancora da esplorare. L’asse strategico si focalizza sull’ulteriore valorizzazione dell’offerta turistica che deve tentare un’appetibile diversificazione».

Da un modello urbanistico equilibrato passa anche il rilancio dell’edilizia e del mercato immobiliare.


«A noi sembra che, nella maggior parte dei Pgt, non siano stati colti appieno i più significativi elementi di novità della legge regionale che li ha istituiti. Tra i vizi storici della pianificazione italiana, peraltro, si è passivamente ereditato anche quello della tutela del proprio particolare a danno dei Comuni vicini e/o di alcuni insediamenti ritenuti acriticamente inaccettabili. Questo è l’aspetto più minaccioso per il futuro, dopo tanti ritardi già causati nel passato. Altre opere sono attese nei prossimi anni. Ma la miopia e qualche residuo ideologico rendono il processo d’investimento troppo costoso e troppo lento rispetto ad altri Paesi anche assai vicini».

E la fiscalità sugli immobili?


«Le tasse sulla casa hanno cambiato continuamente nome man mano che s’inasprivano. Per la prima volta, in quest’ultimo triennio, si è manifestato un fenomeno inimmaginabile: la richiesta dei proprietari di togliere l’edificabilità sui loro suoli perché la tassazione è diventata eccessiva in condizioni di domanda scarsa o nulla. Si deve dare atto che i Comuni bergamaschi non hanno abusato della loro quota d’imposizione per non pesare troppo sulle famiglie. L’onere per le imprese è stato invece molto pesante. Si stima che tra il 2009 e il 2013 il prelievo sulle imprese bergamasche (rifiuti, servizi pubblici e Ici/Imu) sia passato da 122,7 a 251 milioni».

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