I paradossi economici della Russia arricchita da rendite di posizione

Nel 2000 il debito russo era al 135,19% del prodotto interno lordo. In vent’anni è sceso al 13,62%. Vladimir Putin è riuscito, secondo i dati del Fmi (Fondo Monetario Internazionale) là dove i governi italiani e l’eurozona hanno fallito. Al contempo l’autarca di Mosca ha portato le riserve valutarie russe a 630 miliardi di dollari a fronte di un’esposizione verso l’estero di soli 56 miliardi in valuta americana. Su questi numeri fonda la tattica aggressiva dell’invasione russa dell’Ucraina.

Un calcolo a breve termine. Ciò che sinora ha creato ricchezza sono rendite di posizione che non rendono competitiva l’economia russa. La leggerezza europea nel credere che i balzelli del gas e del petrolio bastassero per rabbonire l’orso russo ha alimentato a Mosca l’idea del cappio al collo. Più stringi le forniture e più aumenta il prezzo.Morale: si fornisce meno materia prima e si guadagna al meglio con il vantaggio di decidere quando e come. Un calcolo inevitabile per un’economia come quella russa non segnata dallo sviluppo tecnologico di massa e competitivo.

La miseria di un Pil inferiore a quello italiano, nel 2021 pari a 1.650 miliardi di dollari, il 7,2% della ricchezza prodotta dagli americani e il 10,9% di quella prodotta dall’Unione Europea. Il paradosso russo è in questi numeri. Un Paese povero con una popolazione ai limiti della sopravvivenza, un ceto inurbato arricchito e materie prime.

Una situazione da Paese sottosviluppato ma con una grande tradizione militare e l’arma atomica. Il vero problema russo è la difficoltà ad accettare una dimensione del vivere fondata sulla competitività e plus valore. La ricerca scientifica e tecnologica russa è in certi settori all’avanguardia ma non ha ricadute sul sistema economico se non nell’apparato militare.

Il mondo di Putin non può nemmeno appellarsi agli ideali di uguaglianza sociale della rivoluzione bolscevica e sembra aver sostituito alla triade libertà, uguaglianza e fratellanza della rivoluzione francese i valori dell’amore patrio, del coraggio e della fedeltà. Una dimensione che può trovare rispondenza nel comune sentire dei popoli ma solo nel rispetto del valore primo che segna il nostro tempo: la libertà. E questo spiega perché nelle piazze europee e occidentali appaiono i cartelli che già segnarono il declino dell’impero americano nella guerra del Vietnam. «Putin go home» ha preso il posto di «yankee go home». Come spesso accade ai dittatori, la supremazia militare oscura la ragione politica. Mai come ora l’Unione Europea si è mostrata così coesa, mai come ora le due sponde dell’Atlantico sono unite e parlano la stessa lingua.

Quando l’Occidente avrà tagliato fuori dalla finanza internazionale l’economia russa, a Putin non rimarrà che la Cina. Xi Jin Ping attende sornione il momento in cui la Russia dovrà appoggiarsi al suo sistema di pagamenti internazionali. A quel punto non resteranno che due soluzioni: o gli oligarchi uniti all’apparato militare destituiscono Vladimir Putin o l’Ucraina pagherà dazio con la cessione del Donbass russofono e la promessa di star fuori dalla Nato. Per Kiev un sacrificio, per Putin la faccia salvata, per l’Occidente un respiro di sollievo.

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