Il cantiere aperto
del centrodestra

Oscurato da vicende più importanti, il cantiere del centrodestra rimane comunque aperto. Un percorso a zig zag, fra alti e bassi, ma sempre nel segno del gelo fra Berlusconi, modello popolari europei, e Salvini, formato alla Le Pen. Li divide quasi tutto, a partire dal rapporto con l’Europa e dalle (ipotetiche) larghe intese con il Pd, tuttavia questo non toglie che abbiano già messo in sicurezza l’accordo di massima in vista delle parziali amministrative di giugno (9 milioni al voto) per le candidature a Genova, Verona e Padova. L’ex premier non ha mai avuto così poche truppe dal ’94, la stessa devozione nei suoi confronti è venuta meno, la sua leadership del centrodestra da tempo è sfidata dal capo leghista e, decaduto dal rango di senatore, non sa ancora se potrà ricandidarsi.

Una solitudine riassunta dallo scatto fotografico che lo ha colto recentemente ai tavolini domenicali di McDonald’s a Segrate. Quel che si vede, però, non dice tutto. In realtà le circostanze esterne potrebbero restituire una centralità inaspettata a Berlusconi, pur in un quadro dimesso: l’assist gli viene dalla legge proporzionale ed è un fatto singolare per l’uomo che, più di altri, deve molto al maggioritario. Le carte, come da copione, le scoprirà al momento più opportuno, ma già si capisce che l’ex Cavaliere intende trarre il massimo vantaggio dalla logica proporzionalista (se sarà questa a portarci alle urne): puntare ad una coalizione la più larga possibile giocando su più tavoli, che è poi la sua inclinazione mentale. Attenzione: l’abbandono del maggioritario non fa venire meno il ruolo decisivo del leader e qui Berlusconi ha ancora qualche carta da spendere. È stato così con Renzi alleEuropee dove si è votato con il proporzionale puro e lo stesso si vede in Germania con la Merkel e Schulz: la leadership, piaccia o meno, conta qualunque sia la legge elettorale.

Ma ci sono le condizioni, con questa Lega hard e con l’assenza di sintonia personale fra i due azionisti del centrodestra, per ripristinare lo schema che fu vincente? La presa di Berlusconi sul partito non è più quella di un tempo, anche se in questa fase sembra prevalere la linea dei popolari europei rappresentata da Tajani, neopresidente dell’Europarlamento, distinta e distante dalla posizione del governatore Toti. La Lega – aspettando il voto in Francia – va per la sua strada: la rottura fra Bossi e Salvini è evidente e se qualche eco del Carroccio storico sopravvive sull’asse Maroni-Zaia, nello stesso elettorato lumbard par di vedere una mutazione genetica in chiave lepenista. Quel che resta dei centristi, fra schegge e cespugli, si trova a suo agio con il proporzionale ma versa in condizioni minime: la sua sopravvivenza sarà decisa dal passo indietro di leader ormai fuori tempo e dall’alleanza postelettorale con Renzi, che potrebbe essere inevitabile.

Il centrodestra ha dalla sua il format classico del «tutti insieme» che s’è visto nella corsa per il sindaco di Milano, ma non è esportabile: lo stesso Parisi, di fatto, è uscito dal radar. C’è uno scarto fra il nuovo scenario seguito alla sconfitta di Renzi al referendum costituzionale e il contributo che può venire da Berlusconi per la stabilità del sistema: Forza Italia non ha un vero e proprio progetto e, fino a prova contraria, il leader non può che offrire la propria identità sciupatina, la cui forza attrattiva si colloca più nel passato che nel presente. In un centrodestra balcanizzato, con Berlusconi che fin qui ha smarrito la sua forza, il ruolo di federatore, rimane aperto il problema dei problemi chiamando in causa anche l’offerta politica del Pd: la rappresentanza dei moderati, il corpaccione maggioritario del Paese, tuttora orfano perché chiede il governo dei processi, un profilo istituzionale e teme le avventure. Non può stare con Salvini, potrebbe essere tentato da un Berlusconi capace di reinventarsi e nel frattempo guarda a Renzi, se resterà leader e se sarà in grado di tenere a sinistra e al centro senza inseguire un populismo a bassa intensità. L’altra partita in campo riguarda quindi la rappresentanza dei moderati, la dorsale dell’elettorato. A decidere ­– nelle pieghe del proporzionale – non saranno le emozioni, ma il freddo calcolo delle convenienze e delle circostanze, l’esito di conflitti e tregue nei rispettivi partiti, gli errori o meno dei protagonisti e dei loro avversari.

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