Il Paese ha bisogno
di politiche espansive

Le mani avanti del premier Conte dell’altro ieri avevano ampiamente lasciato intendere la gravità del dato, come i previsori dicevano da tempo. Il ritorno dell’Italia ai tempi bui della recessione economica che, dopo il tonfo del 2011, si sperava di esserci lasciata alle spalle dal 2013, è un fatto. A preoccupare più del dato è la scarsa consapevolezza da parte dei nostri governanti di ciò che comporta questa ennesima lampadina rossa che si è accesa per il nostro futuro.

Gran parte delle dichiarazioni degli esponenti del governo tendono a minimizzare i numeri o ad addebitarli a vicende pregresse, non a quanto è successo nel nostro Paese in questi ultimi mesi, a partire dalla primavera scorsa. Già la goffaggine con la quale il presidente del Consiglio due giorni fa ha anticipato il dato, compiendo una scortesia istituzionale nei confronti di chi si era premurato di informare il governo delle cifre che sarebbero state rese note per permettere una adeguata reazione, la dice lunga sull’approssimazione con la quale presidente e vicepresidenti del Consiglio affrontano le tematiche economiche.

Indubbiamente sulla frenata dell’economia ha influito uno scenario internazionale destabilizzante, ampiamente confermato dalle sue ripercussioni sul prezzo del petrolio, tanto per rimanere nel campo senza bisogno di scomodare aspetti geopolitici. Ma quello che preoccupa sul piano interno, si diceva, è la sottovalutazione della situazione. Se il Pil negativo era previsto e annunciato, come mai, ad esempio, si è continuato a mantenere da parte del governo un quadro di riferimento tanto ottimistico con una previsione di crescita per il 2019 dell’1% quando l’Istat ieri ci ha avvisati che il dato acquisito per il 2019 è un lontanissimo e preoccupante -0,2%? Come non pensare allora che le politiche finora adottate siano inadeguate per affrontare la crisi e ancora di più per uscirne?

Per uscire dalla crisi serve una politica economica espansiva. Ma dopo avere accusato in campagna elettorale l’Europa di non permetterci di farla, perché il governo ha approntato una manovra che non ha nulla di espansivo? Si è già detto che i provvedimenti principali (e più costosi) contenuti nella manovra sono il Reddito di cittadinanza e Quota 100 per l’anticipo pensionistico. Nessuno di questi due provvedimenti può essere considerato espansivo, ma tutt’al più possono essere considerati ammortizzatori sociali, per quanto benevoli si possa essere nei loro confronti e sulla loro necessità. Saranno inoltre finanziati da un previsto pesante aumento dell’Iva che frenerà ancora di più i consumi.

Quello di cui il Paese avrebbe bisogno sono investimenti e incentivi per il lavoro. Non solo di questi non c’è ombra, ma per quel che riguarda gli investimenti si è finora provato a eliminare quelli già previsti e programmati da parte degli enti locali (che sono gli investimenti a più rapida efficacia per la loro rapidità di fattibilità) e quelli previsti con le grandi opere. Per il costo del lavoro basti guardare alle dure critiche espresse dagli industriali che pure avevano beneficiato il governo di ottimistiche attese.

Secondo i primi dati disponibili sul Reddito di cittadinanza a richiederlo sono soprattutto cittadini con una età superiore ai 50 anni: si tratta cioè di persone espulse dal ciclo produttivo che non riescono a rientrarvi, sintomo di una economia recessiva.

Va bene fare fronte agli effetti della crisi, ma bisognerebbe anche cercare di superarla e dire cosa si intende fare in futuro. L’unica cosa certa, a quanto pare, è che ci si immerge invece in un’altra campagna elettorale.

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