Il voto francese
I riflessi italiani

I sondaggi possono sbagliare, ma l’importante per l’Europa è che oggi in Francia vinca Macron: il resto si vedrà, compresa l’analisi del sangue politica del centrista. La posta in gioco, anche nella ricaduta italiana, è questa: Europa sì, Europa no. Il segnale sarebbe incoraggiante, perché verrebbe dal Paese che ha bocciato il Trattato della Costituzione europea, che ha l’ultradestra più forte e radicata nel continente e che, più di altri, trattiene in sè il concetto di sovranità nazionale. Non tutto, insomma, sarebbe perduto dopo un 2016 da scordare: lo scisma britannico, la doppietta con Trump, una certa riabilitazione dei leader autoritari.

Potrebbe interrompersi, partendo dal fortino sovranista, il quarto d’ora di notorietà dei populisti, che comunque sono già insediati in Paesi come Ungheria e Polonia, e allentare la morsa di un pessimismo apocalittico. L’esito positivo sarebbe un segnale, forse un’inversione di tendenza. Qualche indizio c’è: Austria, Olanda, mentre l’europeismo in Germania è già messo in sicurezza dalla cancelliera Merkel e dal socialdemocratico Schulz. In definitiva, potrebbero crearsi le condizioni per un riequilibrio dell’asse franco-tedesco, che è il cuore del progetto comunitario, e riaprire una prospettiva seria almeno per correggere quel che non va in questa Europa.

L’eventuale affermazione della Le Pen sarebbe, viceversa, un salto nel buio e all’indietro, con conseguenze preoccupanti. Oltre non si può andare, anche sui riflessi in Italia, perché parliamo di realtà molto diverse. La Quinta Repubblica francese ha istituzioni solide e la logica del ballottaggio semplifica al massimo in nome della governabilità: al secondo turno scatta il «voto utile», la seconda scelta (per chi l’accetta) verso il candidato meno lontano. Una parte vota turandosi il naso. I due turni si sono svolti in una situazione eccezionale, nel senso di unica: non s’è mai visto un candidato così europeista, non c’è mai stata una destra radicale così forte e nel mentre i partiti storici si sono affondati. Il primo turno ha comunque detto che quasi mezza Francia (oltre il 40% compresa la sinistra tosta e tutte le piccole formazioni) non si riconosce nell’europeismo e nelle tradizionali convenzioni politiche. Un Paese spaccato in due, che sta diventando lo standard ovunque: due società alternative destinate a configurarsi non come avversarie ma come nemiche. I nazional-populismi possono essere sconfitti (e lo sapremo oggi), ma i problemi restano e sono reali. Lo vediamo anche in Italia: ceti popolari e operai che trasmigrano a destra, conflitto fra città e campagna, un cosmopolitismo elitario. In più noi abbiamo i 5 Stelle, che non hanno una coerente equivalente in Francia e la cui inconsistente e oscillante cultura politica non premia il consenso che ricevono.

Dovesse farcela Macron, la svolta potrebbe però essere un’opportunità ambientale per Pd, centristi e Forza Italia come investimento europeista: se ci sarà. Renzi e Macron hanno qualcosa in comune, anche come marketing, ma pure differenze: il leader dei democratici non è quello trionfante del 2013-2014, guida un partito di centrosinistra e non un movimento terzista, deve ricompattare la sua comunità e riallacciare le relazioni con il Paese. In linea teorica, l’eventuale sconfitta della Le Pen potrebbe mettere in discussione lo schema «nazionale» di Salvini e la non praticabilità di uno sfondamento a destra, ma bisognerà vedere quanto sarà la distanza da Macron: vittorie e sconfitte non sono tutte uguali. Berlusconi potrebbe essere un destinatario del dividendo politico di Macron, ammesso che abbia margini e volontà per riprendere in mano il pallino e definire il suo europeismo fin qui intermittente: significa vedersela con qualcuno dei suoi e, soprattutto, con Salvini.

Più realisticamente la partita si gioca sulle convenienze della legge elettorale, dove l’approdo potrebbe essere molto italiano e per niente francese: un sistema proporzionale più o meno corretto da sbarramenti e premi di maggioranza, in cui ciascuno corre per conto proprio e poi i giochi si faranno in Parlamento, con le coalizioni costruite al chiuso. Quello delle alleanze è un test scivoloso soprattutto per il Pd, perché riguarda la sua identità: senza questo partito-sistema il centrosinistra non esiste, ma il Pd da solo continua a non essere autosufficiente. E qui, che vinca Macron o la Le Pen, il modello Francia, che è un altro mondo, non ci può essere di aiuto.

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