In Germania
solidarietà
fa più presa
del forzismo

È iniziato il dopo Merkel. Il 33° congresso della Cdu (Unione cristiano-democratica) ha eletto il nuovo presidente del partito. Una scelta sofferta con
un partito diviso e in crisi di identità, ma alla fine l’ha spuntata Armin Laschet. Cattolico di Aquisgrana, primo ministro del Nord Reno Vestfalia, si è imposto sul suo concorrente Friedrich Merz nel segno della continuità
con la linea politica di Angela Merkel. Dei tre contendenti, l’altro candidato Norbert Röttgen è uscito al primo turno, è certamente quello che più incarna l’anima cristiana del partito. Ed è un dettaglio non marginale per una Cdu che nel panorama europeo è rimasta l’unica a mantenere quella C che ha fatto in Europa la storia della politica del dopoguerra.

Della vecchia democrazia cristiana è rimasta la Csu in Baviera e l’Övp in Austria. Sebastian Kurz ha portato un messaggio di saluto a nome del partito popolare austriaco a conferma del fatto che nel vecchio continente è l’area di lingua tedesca quella che rende testimonianza del carattere popolar-cristiano nella politica. Ed è punto importante perché le spinte prodotte dalle nuove tecnologie, dalla globalizzazione e dell’emigrazione di massa hanno portato a grandi mutamenti che senza una bussola di orientamento inducono a polarizzazioni. Ciò che è successo negli Stati Uniti con l’assalto al Campidoglio ha reso chiaro anche ai 1.001 delegati del congresso Cdu che è l’identità condivisa il fondamento del cambiamento.

Ha vinto quindi Armin Laschet con un discorso centrato su una parola: fiducia. Figlio di un minatore di carbone ha ricordato come suo padre gli dicesse che a mille metri di profondità nelle viscere della terra non conta il colore della pelle o la domanda da dove viene il tuo vicino o la diffidenza che si riserva allo sconosciuto, vi è un solo vincolo: solidarietà. E questo a fronte di un Friedrich Merz, che viene dalla finanza e parla la lingua degli industriali e per il quale la parola d’ordine è una sola: guida. Ne è talmente convinto che dopo aver perso per un soffio la presidenza della Cdu 48% contro 52% ha pensato bene di candidarsi alla poltrona di ministro dell’Economia. Si può immaginare con quale gioia dell’attuale titolare Peter Altmaier. Serafico ha lasciato parlare l’ufficio stampa della cancelleria: non sono previsti ricambi di ministri. Si potrebbe dire che ogni Paese ha il suo giamburrasca. Ma è anche un sintomo che in tempi di transizione come i nostri la soluzione forte è tentatrice e il guascone che ferma l’attenzione e libera dalle insicurezze è sulla piazza.

Dei tre candidati Merz è l’unico che non ha citato l’assalto al Congresso americano. Di recente ha detto: con Trump potremmo andar d’accordo. L’elezione di Armin Laschet resta quindi in continuità con l’eredità politica di Angela Merkel anche se rende evidente che nel partito di governo in Germania così come nella società occidentale vi sono due mondi che risultano conflittuali e portano a polarizzazioni. Avere una C nel nome vuol dire costringere i membri del partito e la società nella quale opera a riflettere sulle proprie origini e trovare, pur nelle contrapposizioni, un punto di condivisione di valori comuni. L’opinione pubblica registra dopo il congresso Cdu spostamenti di voti nei partiti del blocco sociale che guida il Paese mentre per gli estremi, Afd per la destra nazionalista e xenofoba e Linke per la sinistra, il paesaggio è piatto. La vera sfida è quindi al centro. Il candidato alla cancelleria non è stato ancora scelto. Prima devono svolgersi in primavera le elezioni in Baden Württenberg e nella Renania Palatinato. Solo allora sapremo se la gestione Laschet risulta vincente e gli consente di ambire alla successione di Angela Merkel.

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