Isis, molte domande
senza risposte

Sarebbe un pericoloso errore ritenere che con la perdita di Mosul, la caduta ormai imminente di Raqqa e la (per ora non verificata) ammissione da parte di una fonte dell’organizzazione che il Califfo Al Baghdadi è davvero morto sotto il bombardamento russo del 28 maggio significhi l’inizio della fine dell’Isis. È vero che ha perduto tre quarti del territorio che formava il suo Stato, ma sopravvive ancora ad Hawija e nel deserto occidentale dell’Iraq, e nella valle dell’Eufrate a Darf al Zur e Abu Kaml in Siria, dove sembra riuscita a portare in salvo parte della sua leadership e gli strumenti dell’apparato propagandistico con cui ispira ed incita i suoi seguaci in Europa a compiere attentati. Si calcola che, dall’inizio della guerra, abbia perduto 60 mila combattenti, di cui un terzo stranieri accorsi in suo aiuto da mezzo mondo, ma che sul campo, arroccati nella città vecchia di Raqqa o stanziati nelle regioni della Siria e dell’Iraq non ancora «liberate», ne rimangano altri 20 mila.

A questi bisogna aggiungere i sostenitori tuttora annidati nelle città perdute, che hanno già compiuto ben 1.500 attentati terroristici mietendo un numero imprecisato di vittime, e gli jihadisti del Sinai, del Boko Haram nigeriano, della Libia, del Mali, delle Filippine e dell’Afghanistan che, quando era ancora a capo di un simil-stato, avevano annunciato fedeltà ad Al Baghdadi, permettendogli di dire che il Califfato abbracciava ormai tre continenti. Infine, ci sono i cosiddetti «foreign fighters» che – nonostante l’aumentata vigilanza delle polizie e dei servizi, sono già rientrati o stanno rientrando nei loro Paesi d’origine, in Europa, in Canada e perfino nelle Maldive, che si stanno rapidamente radicalizzando e finiranno presto di essere il paradiso in cui tanti italiani vanno a passare le vacanze invernali.

Se ha ragione la Tv irachena secondo cui l’lsis annuncerà tra brevissimo il nome del successore di Al Baghdadi, conosceremo forse dalla sua bocca quali sono i piani futuri dell’organizzazione: può trasformarsi in una milizia partigiana che, approfittando anche della confusione che regna in Iraq e in Siria, si darà alla guerriglia, o potrebbe assumere semplicemente – un po’ come a suo tempo Al Qaeda - la funzione di centrale del terrorismo islamista in tutto il mondo, dall’America al Caucaso e dall’Europa all’Africa, sempre appoggiandosi su quella parte della popolazione sunnita che si sente oppressa e discriminata, e che – per usare una famosa espressione di Mao - rappresenta l’acqua in cui finora è riuscita a nuotare.

La prudenza è d’obbligo anche perché, nonostante la presa di Mosul e (tra breve) Raqqa, la situazione nella regione appare foriera di troppi interrogativi. Le domande si accavallano. Riuscirà il governo sciita di Baghdad a riportare in tempi ragionevoli un minimo di normalità in una Mosul distrutta, e a vincere le diffidenze che avevano indotto una parte della popolazione sunnita a schierarsi – nonostante la loro barbarie - con gli uomini del Califfato? Dove si troveranno gli ingenti fondi necessari per la ricostruzione o anche solo per un ripristino dei servizi essenziali? A chi sarà affidato il governo della provincia di Raqqa, riconquistata da una eterogenea coalizione tra le Forze democratiche siriane (Fds) e di milizie curde, entrambe finanziate ed armate dagli Stati Uniti, ma con obbiettivi molto diversi?

La tregua negoziata tra Putin e Trump nella regione di Deraa, dove è cominciata la insurrezione contro Assad, ma l’Isis non è mai arrivata (la battaglia è tra l’Fds e i governativi, appoggiati dall’Hezbollah libanese) potrà essere gradualmente estesa al resto del Paese? La popolazione siriana di alcune zone di popolazione sunnita accetterà di tornare sotto il dominio di Assad, dopo che questi ha massacrato in sei anni quasi mezzo milione di civili? Fino a questo momento non esiste, men che meno da parte americana, un piano in grado di riconciliare tutte le fazioni, ed è sempre più diffusa l’opinione che le vecchie frontiere di Iraq e Siria non potranno mai essere ripristinate.

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