L’assist greco
alle destre populiste

L’annuncio di Renzi sul taglio delle tasse, a partire da quella sulla prima casa che è la più impopolare in un Paese di proprietari, è stato letto anche come un contrattacco ai populisti di casa nostra: un indizio in più che il fronte anti sistema costituisce un pericolo per la stabilità del sistema e costruire un argine rappresenta tuttora una priorità.

Tralasciando qui il merito della questione (alla demagogia degli oppositori si risponde con una misura facile solo nel prometterla), il premier oggi ha qualche margine in più, perché quello che il Nobel Krugman ha chiamato il «sacco di Atene» ha segnato una pesante battuta d’arresto nella marcia verso il protagonismo della sinistra radicale di Tsipras, che aveva l’ambizione di rappresentare un laboratorio alternativo. L’esperimento greco andato a sbattere contro un’austerità arcigna e un’Europa matrigna ha sterilizzato le velleità della sinistra-sinistra italiana in cerca di un «papa straniero»: la trasformazione pragmatica del leader greco costretto ad un bagno di realtà ha eliminato dal campo quella che era un’icona del pensiero antagonista.

Il prossimo ingaggio, la bandiera promessa, a questo punto potrebbe essere Podemos, il parente più stretto della sinistra greca di Syriza, almeno di quella prima maniera. Ma da qui a fine anno, quando si voterà in Spagna, tante cose possono cambiare, compresi i fidanzamenti. Il dramma greco, a ben vedere, ha mostrato i limiti delle forze anti establishment: sia per incompatibilità con la cultura di governo sia per violazione del principio di realtà. O meglio: queste formazioni, che sono coalizioni riunificate da un leader carismatico che domina partiti personali, sono necessarie alla democrazia perché alimentano un dibattito critico, ma difficilmente dispongono della massa critica per andare oltre. Oltre il successo elettorale. In un’Europa che non piace, ma sarà così finché l’agenda sarà dettata da mastini come il tedesco Schäuble, c’è un confine alla sostenibilità del partito degli scontenti, perché i pranzi dell’eurogruppo non sono gratis e soprattutto costano.

Nelle condizioni date l’unica soluzione per uscire dalla trappola del «prendere o lasciare» è una debolissima «terza via» con esigue possibilità di manovra, quella che stanno tentando Paesi riformisti come l’Italia e la Francia: scambiare le riforme con qualche margine di flessibilità contabile sugli investimenti.

Consapevoli di due prospettive: che l’era dell’euro con la progressiva cessione delle sovranità nazionali e la pressione migratoria stanno cambiando nel profondo le società, e che senza una crescita consistente e una ripresa dell’occupazione il partito degli spaventati continuerà a trovare legittimazione nel malessere sociale e consensi spettacolari. Questo ci dicono l’Italia della Lega e dei 5 Stelle (un universo che con i Fratelli d’Italia e spezzoni euroscettici di Fi arriva al 40%), la Francia della Le Pen, l’Ungheria di Orban, la Polonia, la Finlandia, la Danimarca, la Svezia, tutti territori arati in prevalenza dalla nuova destra radicale. Un arcipelago che condiziona in negativo l’azione dei singoli governi e pure di Bruxelles, come dimostrano lo scivolamento a destra dell’inglese Cameron e la stretta dell’Ue sui flussi dei profughi.

E si sa poi che, anche per un effetto distorto, la stagnazione economica produce miscele imprevedibili e mischia le carte sull’asse destra-sinistra: quanto a noi, questo vale per Salvini e soprattutto per Grillo. In un quadro certo contraddittorio e ancora da definire, la battuta d’arresto della sinistra greca, anche per il suo valore simbolico, potrebbe rivelarsi un assist per la destra con gli stivali che si ritrova in gioco con un competitore in meno. Stefano Folli su «Repubblica» ha fatto questa osservazione non a margine: «Il dramma greco, cominciato a sinistra, sta evolvendo verso destra: nel senso che i nazionalisti vecchi e nuovi si fanno strada in un’Europa confusa, priva di un futuro convincente».

Quella destra senza se e senza ma, o destra-sinistra, o comunque quel fronte radicale mai visto nella storia repubblicana che riceve un gradito omaggio dal doppio turno dell’Italicum: mettendo insieme tutto e il suo contrario è in grado di essere un temibile avversario del Partito democratico. Il guaio è che non abbiamo ancora visto il peggio: il caso Grecia è stato solo il primo round.

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