Manovra, il bivio
tra stato e mercato

Il terremoto politico renziano cade nel momento più delicato della preparazione della manovra economica, e rende ancora più politica l’essenza delle decisioni da prendere. La quadratura di un Bilancio non è mai solo algebra, cioè togliere e aggiungere qualcosa. È anche questo, perché ai numeri comunque si deve arrivare, ma dietro occorre un’idea di società, una scelta di fondo. Una politica, appunto. E un asse di governo già abbastanza tormentato, ora diviso in quattro, è di fronte ad una prova ardua. L’algebra della manovra di bilancio 2020, d’altronde, sarebbe presto detta.

Si parte dal meno 23 miliardi della clausola Iva da cancellare, e siamo già molto sotto la linea di galleggiamento. Ma subito dopo vanno trovati altri miliardi, almeno 3-4, che scattano da soli. Bisogna ritrovare dunque il punto zero con tagli, risparmi o, Dio non voglia, nuove imposte, e poi andare alla ricerca del sole: un bilancio che stia in piedi, vada bene all’Europa e ai mercati.

Un Paese con 2.400 miliardi di debito, che va verso il 135% di tutto ciò che produce, arriva a parlare di cose da fare, di priorità, di futuro, solo dopo aver traversato il deserto di queste cifre. Gualtieri ha buttato lì un primo calcolo: 15 miliardi da trovare subito, per sedersi al tavolo dell’Ue e per domare lo spread sì in discesa, ma sempre ben sopra quota 90 della Spagna… E comunque non sarebbe ancora finita, perché fingiamo sempre di dimenticarci che il malcapitato Tria, per far quadrare i conti delle elargizioni verdistellate, aveva messo entrate da privatizzazioni di ben 18 miliardi. Visto che in 9 mesi non è stato venduto patrimonio neppure per un euro, l’idea è sempre quella di girarlo a Cassa depositi e prestiti, perché si prenda pezzi di proprietà e paghi cash al Tesoro. Ma 18 miliardi non sono piccola cosa, né per l’Europa che non può chiudere gli occhi sul transito furbastro da una tasca pubblica all’altra, né per la parte privata di Cdp, che non è lì a prendere ordini.

Ma il tema privatizzazioni è importante più in generale, perché può essere uno degli indicatori al bivio decisivo tra una politica statalista o una di mercato, che è il punto interrogativo della nuova maggioranza. Con la tentazione di saldare antiche pulsioni della sinistra e le diffidenze anti mercato dei 5Stelle. Temi come l’acqua cosiddetta pubblica, o la non ratifica del Ceta non sono innocui come sembra, perché appartengono a un elenco che può dare una svolta in un senso o nell’altro: Alitalia, Ilva, Atlantia, questioni chiave del fisco (patrimoniale pur sempre smentita), nonché le grandi attrattive dell’assistenzialismo clientelare, eredità del precedente governo. E certi cavalli di ritorno, come la Banca del Sud, o le nazionalizzazioni. Alla base, come dice un vecchio adagio cinese, c’è la scelta tra regalare un pesce o insegnare a pescare. I grandi nodi dell’Italia di oggi (natalità, immigrazione, welfare, Sud, produttività) dipendono da qualcosa che è innanzitutto un atteggiamento culturale.

Passa da qui anche quello che sta accadendo nel Pd, con tendenze esistenziali da conciliare. Ma tutto il sistema politico è in evoluzione, anche nel centrodestra, e il ribaltone di Ferragosto è stato solo un tassello di smottamenti ben più consistenti. La manovra di bilancio sarà per questo la prima verifica delle tendenze profonde del sistema, augurandoci che non ne faccia le spese. È il vero cimento a cui è chiamato Gualtieri, perché deve portare a casa il riaggancio del dialogo europeo, ma navigando nel mare potenzialmente tempestoso dei nuovi rapporti politici italiani. Il sovranismo è più vivo che mai, ci sono partiti ieri agonizzanti come 5 Stelle e LeU che sul governo si giocano il futuro, mentre i due assi portanti del rapporto con l’Europa, Pd e Forza Italia, sono scossi da brividi profondi. La manovra di autunno non sarà decisiva, perché molto è già compromesso per il 2020 e l’effetto dei risparmi su interessi del debito, reddito di cittadinanza e quota 100 saranno visibili solo un anno dopo. Ma la linea di fondo Stato-Mercato già emergerà, e potrebbe segnare il futuro, nel bene o nel male.

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