Migranti, il richiamo
ipocrita dell’Europa

L’Unione europea ha detto la sua sulla possibile nascita di un governo italiano a trazione Lega-5 Stelle. Bruxelles si è espressa su due capitoli: i conti pubblici, perché non venga allentata la politica del rigore; l’immigrazione, nella speranza che non ci siano cambiamenti nella linea fin qui adottata dal nostro Paese. Il contratto siglato da Matteo Salvini e Luigi Di Maio sul punto prevede irrigidimenti ma con la vaghezza che contraddistingue buona parte del documento. Propositi che non fanno i conti con la complessità della materia.

I rimpatri forzati ad esempio hanno come presupposto onerosi accordi con gli Stati di provenienza dei migranti (attualmente le intese sono solo quattro, con Egitto, Tunisia, Marocco e Nigeria). Ma il richiamo dell’Ue su questo tema suona ipocrita: in questi anni l’Italia è stata lasciata sostanzialmente sola (con la Grecia) a reggere il peso degli sbarchi in Europa e Bruxelles si è limitata a finanziare una parte degli interventi d’accoglienza. Per il resto la politica europea ha fallito su più fronti: dal rispetto delle quote per la distribuzione dei migranti fra i Paesi dell’Unione alla bocciatura della proposta di un diritto d’asilo europeo. Se qualcosa è cambiato negli ultimi mesi, è solo grazie al pressing del governo italiano sulle istituzioni continentali.

Intanto l’Ue è rimasta silente su alcuni fatti che non rappresentano certo il successo dell’integrazione fra Stati. I blitz della gendarmeria francese in territorio italiano per arrestare migranti poi risultati innocenti rispetto ai reati contestati, le denunce della stessa gendarmeria contro persone che prestano soccorso agli extracomunitari che cercano di attraversare il confine italo-francese attraversando le Alpi, i treni austriaci che portano in Italia richiedenti asilo entrati in Austria attraverso la Slovenia, le condizioni ancora tremende dei centri in Libia (con la quale sono stati stretti accordi di collaborazione) dove vengono detenuti gli emigranti, tra fame, torture e stupri. Questi fatti profilano violazioni del diritto internazionale, se le due parole hanno ancora un significato. Ma la più grande ipocrisia riguarda la rotta balcanica: la retorica securitaria continua a definirla chiusa dopo l’accordo fra l’Unione europea e la Turchia, che allo scopo ha incassato sei miliardi di euro. Ebbene, nei primi quattro mesi del 2018 sono arrivati in Grecia 9.789 migranti (soprattutto siriani), proprio dalla Turchia. E altre migliaia vagano in Serbia alla ricerca di una via di fuga verso Paesi dell’Europa occidentale. Il governo di Belgrado si è inventato una soluzione: li carica su autobus diretti in Bosnia, Stato che sta ancora curando le ferite della guerra infernale degli anni ’90. In soli 40 giorni a Sarajevo sono arrivati 4 mila migranti. La popolazione della capitale che ha subìto il più lungo assedio europeo dai tempi della Seconda guerra mondiale li ha accolti con umanità: sanno cosa significa una guerra e la fuga dal terrore. Il primo ministro della Bosnia, Senis Zvizdic, ha avuto parole degne di un vero leader: «Vogliamo mantenere un atteggiamento umano nei confronti dei migranti e continueremo ad agire in conformità alle nostre leggi». I 4 mila sono accampati in un parco di fronte alla Biblioteca nazionale, prezioso edificio di architettura moresca distrutto dalle bombe serbe nella notte tra il 25 e il 26 agosto 1993. Bruciarono quasi due milioni di volumi, tra cui più di 700 manoscritti e incunabuli (i testi stampati con caratteri mobili prima del 1500). Per giorni centinaia di cittadini (bosniaci, serbi, croati) lavorarono per salvare i libri non completamente bruciati. Qualcuno era stato previdente e aveva portato altrove un’antica copia di un’Haggadah ebraica, già salvata dalle deportazioni e dai roghi nazisti.

Quei 4 mila migranti e la Biblioteca ricostruita sono uniti nel simboleggiare il fallimento dell’Europa inane.

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