Promesse elettorali
se i conti non tornano

Abolire il canone Rai, realizzare il ponte sullo stretto di Messina, alzare le pensioni minime. Non c’è campagna elettorale che non abbia il suo elenco di promesse, di intenti verbali di facile e diretta comprensione per l’elettore. A rilanciare la cancellazione della tassa sulla tv pubblica è stato questa volta il Pd renziano. La mossa prende di mira una gabella invisa a molti italiani ma avrebbe anche lo scopo di colpire Silvio Berlusconi, rivedendo i tetti pubblicitari che penalizzano viale Mazzini rispetto alle emittenti private, quindi anche Mediaset.

Il partito che ha lanciato la proposta è lo stesso che aveva inserito il pagamento del canone nella bolletta Enel, per contrastare l’alta evasione dell’imposta per la tv di Stato. Proposta che ha subito spaccato il governo: il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda l’ha definita «una presa in giro» sollevando anche il problema delle coperture economiche, che non riguarda soltanto il canone Rai. A questo proposito «Il Sole 24 Ore» ha calcolato in 270 miliardi il costo delle promesse elettorali fin qui lanciate dai partiti (e siamo solo a due mesi dal voto). Nel dettaglio: rimodulare la flat tax (come chiedono Lega e Forza Italia) costerebbe fra i 30 e i 40 miliardi; rimodulare l’Irpef (idea di Pd e 5 Stelle) tra i 12 e 15 miliardi; estendere gli 80 euro alle famiglie con più figli (Pd) 5,7 miliardi; il reddito di cittadinanza (5 Stelle e Forza Italia) tra i 15 e i 17 miliardi; 13 miliardi la cancellazione dell’Irap (Forza Italia), 18 miliardi per alzare le pensioni minime a mille euro (Forza Italia); abolire la legge Fornero (Lega) 140 miliardi, uscire dal Fiscal compact (Pd e Lega) 24 miliardi.

In discussione non è la bontà di tante proposte, ma la loro formulazione, con i tempi e la banalizzazione degni di uno spot. La questione delle coperture è centrale per un Paese come il nostro, zavorrato da un debito pubblico di 2.289 miliardi di euro. Le promesse andrebbero articolate con un’indicazione puntuale delle risorse che dovrebbero sostenerle, del dove andare ad attingerle, tenendo anche conto del fatto che abbiamo una spesa pubblica elevata e mal organizzata. Risorse ma anche strumenti e politiche: quando nei talk show si sente dire da leader politici che si accreditano a presidenti del Consiglio del prossimo governo che tra gli obiettivi c’è «l’azzeramento dell’immigrazione», per senso di responsabilità verso gli elettori non andrebbero indicate anche le procedure realistiche per raggiungere un così ambizioso (e impossibile) risultato? C’è poi il vezzo del «taglianastri»: a Roma la sindaca Virginia Raggi inaugurerà la stazione San Giovanni della metro C proprio il 4 marzo prossimo a urne aperte. Ma questi sono peccati veniali, debolezze macroscopiche che fanno quasi sorridere.

In gioco c’è il rapporto fra i cittadini e chi li rappresenta, una questione centrale nelle democrazie moderne che si avvalgono anche di strumenti informativi non classici, dai social network a Twitter, luoghi nei quali le promesse elettorali corrono a grande velocità e diventano argomento di discussione spesso disancorato dalla fattibilità di quelle promesse. Il cittadino-elettore ha la responsabilità di informarsi e di non farsi abbindolare da proposte che possono avere la forza di un castello di carte, di acquisire una consapevolezza su argomenti complessi ma spesso decisivi per la nostra vita. Alla politica andrebbe chiesto il coraggio di un’operazione verità. Una politica forte ha bisogno di questi due requisiti, per non ridursi (come purtroppo è in parte avvenuto) a dibattito da salotto televisivo.

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