Referendum lombardo
tra pasticci e sorprese

Nato in sordina a febbraio, il referendum consultivo sull’autonomia della Lombardia, in pratica più poteri alla Regione, sta restituendo protagonismo a Maroni e potrebbe consentirgli di rafforzarsi nella competizione sotto traccia con Salvini e permettere alla Lega di chiudere il cerchio: mentre quella nuova, nazionalista, usa la ruspa anti immigrati, quella storica del governatore riattualizza in chiave istituzionale le vecchie parole d’ordine dell’armamentario nordista.

La questione, poi, che tocca una certa sensibilità bergamasca, sta facendo un po’ di rumore perché il presidente della Provincia di Bergamo, Rossi, e il sindaco Gori si sono smarcati dalla linea del Pd che è di netta opposizione: prima confermata dal voto contrario del gruppo consigliare del centrosinistra al Pirellone, poi ribadita dal sottosegretario Bressa; e oggi toccherà al segretario regionale del partito, Alfieri, che ne parla a Bergamo.

L’apertura di Rossi e Gori ha sorpreso molti, ma riflette la fatica di chi deve recuperare risorse in tempi grami: la «soggettività politica» del territorio e gli equilibri da costruire fra le nuove «aree vaste» e la vecchia Provincia, in una fase in cui il Pd governa in quasi tutta la Lombardia, da sempre sono al centro delle riflessioni dei due. Tuttavia, più che un corridoio realmente percorribile, quello di Rossi e Gori appare il contributo critico di chi nelle retrovie amministrative sente soffiare il vento leghista e ritiene che per arginare questa offensiva il mezzo migliore sia essere della partita con tutti i distinguo del caso: inserire nel dibattito gli enti locali della Bergamasca e riempire di contenuti questo appuntamento vorrebbe dire, per loro, evitare un neocentralismo della Regione e offrire agli amministratori un terreno di proposta e non solo di protesta.

La questione, però, per i responsabili del Pd è politica a pochi mesi dalle amministrative in città come Milano, e in ipotesi abbinate al referendum, in cui gli avversari da battere sono Salvini e Grillo, che hanno il vento nelle vele: come rispondere al territorio senza offrire assist inopportuni alla Lega su un’iniziativa ritenuta propagandistica, vuota di contenuti e che risponde a logiche tutte interne al Carroccio. Il nodo è stato affrontato più volte dal sottosegretario Bressa, che, pur disponibile al confronto, ha posto la questione centrale: gli inutilizzati articoli 116 e 117 della Costituzione già consentono alle Regioni ordinarie di chiedere spazi di autonomia e competenze su una serie di materie finora precluse. Per il governo il dialogo resta nei paletti dei due articoli della Costituzione ed è per questo che la mossa del Pirellone è bollata come politica e propagandistica: il punto di vista del vertice democrat è sfidare Maroni sul terreno riformista, non quello di seguirlo in un «irrituale» referendum.

Del resto, già alcuni anni fa una delibera del Pirellone impegnava Formigoni ad aprire una trattativa sull’autonomia con il governo, proposta che s’era arenata nei faldoni dell’esecutivo di centrodestra, di cui Maroni stesso era componente. Questo dibattito, che ripropone in ogni caso la centralità del territorio in una fase di cambiamenti istituzionali, coincide con la volata finale della riforma costituzionale, che riguarda non solo il Senato, ma anche la «riforma della riforma», cioè la riscrittura del Titolo V della Costituzione relativa alle autonomie e soprattutto al rapporto fra Regioni e Stato.

Il Titolo V è stato modificato nel 2001 nel quadro della più ampia riforma costituzionale della storia repubblicana, rafforzando fortemente la potestà legislativa delle Regioni, creando però un’area pasticciata fatta di materie trasversali e concorrenti fra il centro e la periferia e alimentando così un contenzioso che la Corte Costituzionale ha risolto con una lettura restrittiva delle prerogative regionali. L’attuale riforma, nel tentativo di fare pulizia in questa zona a due e nel riportare a Roma una serie di funzioni in controtendenza rispetto ad un regionalismo accentuato e talora mal utilizzato, richiama le Regioni ad un ruolo diverso: meno amministrazione, più coordinamento. La prospettiva va in un riequilibrio al centro e in particolare dell’azione del governo: per lo stesso Pd, nel rapporto con i suoi amministratori locali, è un passaggio delicato.

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