Replichiamo gli egoismi
rimproverati all’Europa

La Lega, all’indomani del successo alle regionali e nel momento più difficile per il governo Renzi, alza il tiro contro l’immigrazione clandestina. Non lo fa con la ruspa di Salvini, ma con un’iniziativa istituzionale di Maroni, che fino a oggi si voleva distinto se non distante dal segretario.

Il governatore della Lombardia ha scritto ai prefetti per diffidarli dal portare qui nuovi migranti e ha inviato una lettera ai sindaci per avvertirli che in caso contrario avranno i trasferimenti regionali ridotti. A Maroni s’è affiancato il berlusconiano Toti, neo presidente della Liguria, mentre il primo stop era giunto nei giorni scorsi dal Veneto di Zaia in coincidenza con la massiccia ripresa degli sbarchi e con la sospensione di fatto degli accordi di Schengen, dato che i superstiti approdati a Lampedusa e in Puglia vengono poi bloccati a Ventimiglia e al Brennero. La sortita di Maroni, che riunisce Lega di governo e di lotta in un’offensiva più che annunciata, è stata contestata dal centrosinistra e, quanto a Bergamo, la «minaccia» del governatore è stata respinta al mittente dal sindaco Gori. Non sappiamo se un prefetto debba sottostare ad un presidente di Regione, in ogni caso l’autonomia territoriale rivendicata dalla Lega mal si concilia con il tono che appare ricattatorio nei confronti dei primi cittadini: sarebbe, dunque, questa la macroregione del Nord che Maroni intende rianimare?

Sono però altre le preoccupazioni dell’opinione pubblica, perché il problema è destinato a radicalizzarsi: quanto a numeri e a paura, nella consapevolezza che stiamo parlando di drammi umani e di una questione terribilmente complessa dove non ci sono terapie su misura. Il diktat di Maroni non propone una soluzione: semplicemente sposta il problema, lasciandolo in sospeso. Se la vedano gli altri, non noi. La Lega, si sa, cavalca legittime paure, peraltro in crescendo, di pezzi spaventati e consistenti del Paese: la tentazione di dare risposte semplicistiche a piaghe sociali complesse nel segno dell’interesse locale o nazionale è irresistibile. Maroni e Salvini non ne hanno l’esclusiva e siamo al contagio, come s’è visto con la ripartizione delle quote chiesta dall’Italia a livello europeo: dei grandi Paesi, l’Inghilterra s’è già chiamata fuori e lo stesso ha fatto la Francia socialista. Ovunque c’è una stretta anti immigrazione in nome della quiete pubblica e nell’illusione di trovare conforto nei piccoli nazionalismi in libertà. Pochi hanno la coscienza a posto e l’Italia avrebbe qualche ragione in più degli altri nel pretendere il soccorso europeo in quanto approdo di prima istanza dei migranti, sempre che qualche partner non ci chieda il conto della malapolitica bipartisan (l’inchiesta Mafia capitale) consumata sulla pelle dei disperati dei barconi.

C’è però un’altra Italia, soprattutto cattolica ma non solo, che non scappa dalla realtà e cerca di governarla, sapendo che nell’ecatombe del Mediterraneo è in gioco anche la legittimità morale delle società europee: fare la propria parte, pur controcorrente, è un dovere. Con la bella stagione e l’incancrenirsi del caos bellico nella sponda Sud del Mediterraneo e altrove (Libia, Siria, Iraq, Somalia,Mali) il quadro si deteriorerà ulteriormente. Senza esagerare nei toni apocalittici, perché non siamo in presenza di un’invasione e spesso la percezione non spiega la realtà: il punto di svolta, che dà la misura dei drammi infiniti, è semmai la velocità con cui si moltiplica questa umanità dolente. Come numero di richiedenti asilo siamo ancora distanti da Paesi come Inghilterra, Francia e Germania, una realtà minore del milione e 700 mila migranti siriani in Turchia e marginale rispetto a Libano e Giordania dove un terzo della popolazione è composta da profughi. La nota positiva viene dall’ultima versione delle operazioni navali «ricerca e salvataggio» di Triton, missione che ha un budget aumentato e non più il vincolo di agire solo entro le 30 miglia territoriali: in sostanza sono state ripristinate le regole di Mare nostrum. Avevamo titolo per chiedere una ripartizione degli oneri con il resto d’Europa in base alla popolazione e alla ricchezza dei singoli Paesi e, nel vertice Ue di fine mese, sapremo l’esito che sarà comunque contrastato.

Tuttavia, dopo aver chiesto coerenza agli altri finiamo con l’essere incoerenti nei confini nazionali, cioè nel replicare le insufficienze che rimproveriamo all’Europa egoista. Se il criterio della proporzionalità impone un riequilibrio nella suddivisione delle responsabilità e dei costi di varia natura, dovrebbero essere le Regioni in prima linea (Sicilia, Lazio e Puglia) a lamentarsi. Se a buona ragione critichiamo l’Europa per mancanza di solidarietà, l’Italia di Maroni e Zaia è solidale con le altre Italie, fa cioè la sua parte?

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