Sardine su Salvini
«Uomo fragile»

Nessuno se l’aspettava, tanto meno Salvini, il gran mattatore delle piazze mediatiche e non, e invece all’improvviso gli si è esplosa contro una piazza vera. Al grido «Bologna non si lega» è scattata la mobilitazione delle Sardine al grido: liberiamo il Paese dalla «presenza opprimente» del populismo sovranista. Un movimento di auto-convocati, di giovani qualunque, di senza partito, di senza leader, eppure dotati di un’energia insospettata, capace di far propagare il movimento in tutta Italia. Come le sardine, si riproduce velocemente, si muove in branco, trova nel numero la sua forza. Lascia, però, in ombra il suo profilo politico.

A parte la chiamata alle armi contro Salvini, non offre molti indizi perché lo si possa qualificare politicamente. Oltre a non avere – o meglio, a non voler avere - un leader, non si è dato nemmeno un portavoce. Non agita bandiere di nessun colore. Si limita a prendere le distanze dallo stile imperante connotato come politica «dell’odio e dell’insulto». Protesta la propria insofferenza nei confronti di un «modo di fare politica che fa perno sull’ansia e sulla paura». Tutto qui.

La palese indeterminatezza dei fini non può che alimentare la domanda su quale possa essere il suo futuro: siamo in presenza di un effimero moto di piazza destinato a rifluire presto nel nulla o di una forza capace di ridare slancio alla «maggioranza silenziosa», atterrita da una destra populista e intimorita dall’arroganza del Capitano leghista?

Una mobilitazione dal basso convocata in dispregio della destra e al contempo in polemica con la sinistra non è una novità. Le piazze di molte città si sono già animate nel 2002 per iniziativa dei cosiddetti Girotondi. Li spingeva all’azione l’allarme per una «democrazia in pericolo». Nel 2009 a invadere le piazze è stato il popolo Viola, anch’esso spinto dal desiderio di rigenerare la sinistra e di fermare il passo al nemico di sempre, Silvio Berlusconi. Passano tre anni e fanno la loro apparizione gli Arancioni, un movimento civico senza partito e di scontenti della sinistra, messa sotto accusa per la scarsa reattività che continuava a dimostrare nei confronti dell’incombente «minaccia alla democrazia».

Come si vede, tutti questi movimenti condividono con le Sardine alcune caratteristiche: l’allarme per il pericolo di una svolta autoritaria; l’individuazione di un nemico da debellare (ieri Berlusconi, oggi Salvini); lo scontento per una sinistra giudicata incapace di svolgere un’attiva vigilanza democratica; la propensione a una mobilitazione diretta che prescinda dalla mediazione dei partiti. Non devono sfuggire, però, anche alcune differenze. Il movimento delle Sardine non agita nessun spauracchio. Non considera Salvini «il male assoluto», ma solo «un uomo fragile». Non spinge verso una drammatizzazione dello scontro politico. Non è animato da una critica corrosiva del sistema. Si erge anzi in difesa dell’ordine. Un’opposizione, la sua, non al governo, ma all’opposizione: un altro tratto, questo, assolutamente originale. Non vagheggia infine un’utopia ultrademocratica, com’è proprio dei movimenti populisti (Cinquestelle docent). È addirittura avaro d’indicazioni politiche. Tutto ciò può essere oggi un vantaggio. Non domani, quando sarà chiamato a scoprire le carte in tema di scelte elettorali e di programma. Allora si capirà se il suo sia un bluff o un gioco vincente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA