Se il tavolo Ocse
fa come i gamberi

Un anno dopo, siamo tornati indietro di tre. Fastidioso, persino un po’ stucchevole, ma è così. Il 25 luglio dello scorso anno, Bergamo celebrava l’avvio di una «cabina di regia» dove i sei componenti (Camera di Commercio, Comune, Provincia, Università, Imprese&Territorio e Confindustria) avevano finalmente deciso di vestire una casacca sola e remare tutti insieme per disegnare le rotte del futuro della nostra terra, impegnati su cinque fronti ritenuti (giustamente) strategici: innovazione, competitività, welfare, educational e attrattività del territorio. Ma un anno dopo, purtroppo, siamo tornati al punto di partenza, e - se possibile - anche un passo prima. E non se ne capisce il motivo, a meno che - confidano i maligni - il tutto non sia da ricercare nella voglia di cambiare logiche per disfare alleanze e farne di nuove. Legittimo, per carità, magari anche condivisibile, ma non nei tempi e nei modi che la cronaca ha registrato negli ultimi giorni. «Galeotte» alcune dichiarazioni che il presidente della Camera di Commercio di Bergamo, Paolo Malvestiti (espressione di Imprese&Territorio, il Comitato unitario che raggruppa dieci associazioni d’impresa delle piccole e medie imprese bergamasche) ha rilasciato nei giorni scorsi, in cui ha sparato letteralmente a zero su amici (che ora sembrano nemici) e nemici (che ora sembrano amici), lasciando molti di stucco e tutti perplessi (e anche un po’ - tanto - contrariati).

Se il «motore immobile» della «cabina di regia» erano stati i risultati dello studio che la Camera di Commercio aveva richiesto all’Ocse, c’è subito da dire due cose: che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ci aveva visto giusto (ma questo lo si sapeva già) e che tre anni dopo le cose sono davvero peggiorate.

Tra quanto «denunciato» dall’Ocse (produttività stagnante, basse competenze della forza lavoro, innovazione inferiore alle nostre potenzialità) c’era anche l’assenza di una governance comune e condivisa tra pubblico, privato e mondo accademico. La cosa aveva provocato più di un mugugno e quando un anno dopo il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, aveva risollevato la questione ricordando che non era stato fatto ancora niente, s’era scatenato un mezzo pandemonio. Ma sei mesi dopo - più o meno un anno fa, appunto - tutti avevano deciso di mettersi in marcia in una sola direzione comune.

Peccato che le ultime dichiarazioni di Malvestiti vadano in tutt’altra direzione, confermando in pieno che invidie e gelosie la fanno ancora da padrone. Lo spunto sono i due progetti per realizzare un «hub dell’innovazione» presentati sia da Confindustria sia da Imprese&Territorio, da cui il presidente della Camera di Commercio si distacca nettamente non lesinando pesanti critiche a fronte di inequivocabili apprezzamenti verso Confindustria. Che voglia cambiare «l’asse strategico» e trovare una nuova intesa con gli industriali, aiutato sottobanco anche da qualche altra forza imprenditoriale per ora nell’ombra? Qualche fondamento, il dubbio insinuato dai maligni potrebbe anche averlo, anche perché se Imprese&Territorio sembra aver perso un po’ del suo smalto iniziale, e anche un po’ di consistenza, l’area confindustriale (complice anche un ministro Calenda ben piantato sui fondamentali dell’industria 4.0) sembra ora dimostrarsi un soggetto più solido e affidabile che in passato.

Ma nel mirino di Malvestiti è finito anche il rettore dell’Università, e «certi suoi personalismi inutili». Cosa non di poco conto, se si pensa che Unibg è tra le quattro istituzioni pubbliche che formano la «cabina di regia».

Facile immaginare che tutto ciò abbia innescato una serie di reazioni che ora solo una sapiente diplomazia potrà riuscire a disinnescare. Se Confindustria sta a guardare alla finestra, Imprese&Territorio ha rinviato di qualche giorno la nomina del nuovo presidente (quasi certamente sarà Alberto Brivio) in attesa di chiarimenti da parte dello stesso Malvestiti, mentre l’Università (che sembrerebbe pretendere scuse ufficiali) minaccia di lasciare la «cabina di regia» e i «Tavoli Ocse» attorno ai quali si starebbe cercando di costruire il futuro di Bergamo.

La qual cosa non piace a nessuno, tanto meno al sindaco Giorgio Gori e al presidente della Provincia, Matteo Rossi, che già ieri mattina hanno fatto «filtrare» il loro malcontento al presidente della Camera di Commercio, coordinatore appunto dei «Tavoli Ocse». La «tirata d’orecchie» non è stata leggera, a dispetto dei toni utilizzati. Si è parlato di un clima di tensione attorno ai Tavoli che preoccupa e non piace; di una necessità di curare nel metodo e nelle parole la doppia sfida su cui si sta costruendo il percorso (condivisione e partecipazione da un lato ed efficacia e concretezza dall’altro), soprattutto da parte di chi deve guidare il gruppo. Urge dunque un incontro chiarificatore con i quattro soggetti pubblici, partendo anche dal presupposto che l’Università di Bergamo rappresenta in quel contesto un elemento di qualità irrinunciabile e imprescindibile. Tono felpato, ma messaggio forte e chiaro.

Certo che questo pasticcio non ci voleva proprio, non solo perché sembra di essere tornati a un modello che Bergamo pareva aver abbandonato definitivamente, ma perché quasi tre anni dopo ci troviamo ancora (se ci va bene) al punto di partenza. Anziché aver dato una forte accelerata per rilanciare la produttività, innalzare le competenze della nostra forza lavoro e innovare secondo le nostre reali potenzialità, abbiamo dimostrato ancora una volta di non saper condividere una strada comune per il bene comune di una provincia. Che peccato. Che tristezza.

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