Transizione ecologica, il conflitto ha cambiato l’agenda dell’Europa

Alla vigilia di Natale la variante Omicron del Covid 19 imperversa. Solo il tempio della modernità pare resistergli. Le borse festeggiano un anno grasso: il Nasdaq 100, che raccoglie il meglio del capitalismo di Wall Street , cresce del 23,7% e persino il Dax tedesco del 12.3%. La biochimica, la digitalizzazione, le energie rinnovabili segnano i listini e la ripresa. Una vampata di futuro illumina gli animi segnati dalla pandemia. Dura un istante. Bastano due mesi e l’Europa ricade nel destino della sua lunga storia: nella guerra.

La contrattazione azionaria rimane il sismografo delle ansie dell’Occidente. Salgono e scendono gli indici, come dicono gli addetti ai lavori, le Borse sono volatili, con una certezza però: le armi rendono meglio dei pannelli solari. Il cancelliere tedesco ha annunciato 100 miliardi solo per il 2022 per potenziare l’esercito tedesco e subito Rheinmetall, la maggior industria tedesca di armamenti, ha fatto un balzo. L’italiana Leonardo ha segnato al 28 febbraio un più 15% e Fincantieri il 20% circa. I fattori della ripresa che tanto hanno spinto i listini cedono il passo ai brutti sporchi e cattivi della compagnia. Il cambiamento climatico è finito ai titoli di coda. Adesso avanza «Big Oil». Exxon Mobil dal 21 febbraio di quest’ anno è salita dell’87%, Chevron del 79%, Shell del 54%, Bp del 43%. Il nuovo governo tedesco di Olaf Scholz ha vinto le elezioni nel segno della rivoluzione energetica. I fondi stanziati a bilancio per tre ministeri strategici: la digitalizzazione, la ricerca scientifica, l’agricoltura e l’alimentazione non raggiungono l’importo di uno solo, la difesa. In un colpo solo ha azzerato le ambizioni di un continente che si credeva campione della svolta ecologista. E invece ecco che il carbone torna protagonista e, beffa delle beffe, deve essere importato dalla Russia perché i giacimenti su suolo tedesco sono stati chiusi. L’euforia di un nuovo mondo incontaminato ha spinto i tedeschi con il governo Merkel a chiudere anche le centrali atomiche. Così adesso la transizione energetica in Germania la sostiene l’atomo francese e il gas russo. Pensare di poter fare la rivoluzione con le armi altrui è l’idealismo tedesco. Charles De Gaulle l’aveva detto: gli Stati non hanno amici, solo interessi. Il successo dell’industria tedesca, il surplus gigantesco del suo export ha indotto a credere che è l’economia che guida il mondo. Un filo rosso che segna la costruzione dell’Unione europea al punto da indurla a creare una moneta unica prima ancora di avere una politica economica comune. Una lacuna che Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea ha dovuto colmare con il famoso «whatever it takes». La Germania ha pensato si potesse andare avanti così. In fin dei conti era la Russia che sosteneva con il suo gas l’egemonia tedesca nell’Ue. E perché mai Putin avrebbe dovuto rompere il giocattolo visto che dai gasdotti veniva la forza del suo potere? Il socialdemocratico Gerhard Schröder, predecessore di Angela Merkel, è così diventato il gran ciambellano alla corte di Gazprom e di Nord Stream 1 e 2. Ed è con questo cappio al collo che Putin si è permesso l’invasione dell’Ucraina. A dimostrazione che l’economia non è una variabile indipendente ma lo strumento con cui si fa politica. E la dimostrazione ci viene dalle sanzioni. Si bloccano le transazioni Swift per tutti i settori ma non si toccano il gas e la banca russa che ne regola i pagamenti, Sberbank. Per finanziare le sue armate Putin non deve temere: 800 milioni di euro al giorno arrivano direttamente dall’Unione europea. Lo storico israeliano Yuval Noah Harari pronostica a medio termine la sconfitta di Putin. Può essere. Ma che la ragione politica sia il fattore decisivo nella condotta degli Stati, quello lo abbiamo imparato.

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