Usa e Russia più vicine
L’incognita delle urne

Il fragile e un po’ lacunoso accordo per operazioni militari congiunte contro l’Isis in Siria, raggiunto – dopo giorni di negoziati – dai ministri degli Esteri russo e americano Lavrov e Kerry ha posto un nuovo interrogativo alle Cancellerie. È possibile che questa intesa, per quanto subordinata al mantenimento della tregua per una settimana e fortemente osteggiata dal Pentagono, porti a nuove intese tra Washington e Mosca e aiuti a superare il clima da nuova guerra fredda venuto a crearsi tra i due Paesi in seguito alla crisi ucraina?

Un simile riavvicinamento sarebbe senza dubbio gradito alla maggior parte dei Paesi europei, e contribuirebbe a svelenire un clima internazionale già abbastanza complicato. Ma un eventuale sviluppo positivo dipende da tanti fattori diversi, che al momento è difficile fare previsioni.

L’accordo, che lo stesso Obama ha approvato non senza esitazioni, potrebbe avere un impatto molto forte sulla situazione in Siria. Oltre a prevedere una collaborazione militare tra americani e russi quale non si vedeva dalla Seconda guerra mondiale, con scambio di informazioni sui bersagli da colpire fin qui mantenute rigorosamente segrete, introduce due novità importanti, entrambe per la verità a vantaggio di Putin: la virtuale rinuncia di Washington a eliminare Assad prima di avere sconfitto gli jihadisti, e il riconoscimento americano che Al Nusra, una formazione ribelle fin qui tollerata dagli Usa, rimane una longa manus di Al Qaeda anche dopo avere cambiato nome in «Fronte per la conquista del Levante» e perciò un bersaglio lecito per i bombardieri russi. In cambio, Mosca accetta una specie di duopolio nel pianificare le azioni militari e quindi dovrà a sua volta condividere informazioni riservate.

Se tutto questo funzionerà, dipende anche dal comportamento dei molti altri attori presenti sulla scena siriana, dallo stesso Assad alla Turchia, dal Libero esercito siriano ai curdi, dall’Iran agli Hezbollah. Solo se nessuno metterà i bastoni tra le ruote, l’accordo potrà diventare l’inizio di una distensione. Negli ultimi tempi, due sono stati i casi di collaborazione tra i due Paesi: in occasione dei negoziati per fermare la corsa dell’Iran alla bomba atomica, che erano nell’interesse comune e sono approdati a un accordo certo non perfetto, ma migliore di un fallimento, e nei tentativi, purtroppo naufragati, di convincere la Corea del Nord a rinunciare alle armi nucleari in cambi di un massiccio programma di aiuti. Kerry e Lavrov hanno stabilito un buon rapporto, ma il primo potrebbe non essere più segretario di Stato tra tre mesi e il secondo è solo un portavoce di Putin.

La vicenda che più ha contribuito a rilanciare la «Guerra fredda» è quella Ucraina: l’invasione della Crimea, la creazione di due province autonome nel Donbass sotto il protettorato di Mosca, lo stallo degli accordi di Minsk. Ha prodotto le sanzioni commerciali contro la Russia (dannosissime per Putin, ma sgradite anche a molti europei) e lo spiegamento di consistenti forze Nato nell’Europa orientale a protezione dei Paesi baltici e della Polonia, e ha fatto rivivere oltre Atlantico i vecchi sentimenti antirussi. Ora, tuttavia, la crisi è congelata, forse perché gli occidentali si sono resi conto che non vale la pena «morire per Kiev». Ci sono stati anche vari dispetti reciproci, come la esclusione di molti atleti russi dalle Olimpiadi (e di tutti dalle Paraolimpiadi) in base a documenti forniti dagli americani, o il balletto inscenato da Putin con la Turchia per allontanarla dalla Nato. E il disegno dello Zar di riconquistare sulla scena internazionale, anche a costo di plateali provocazioni, il peso perduto con la dissoluzione dell’Urss, è chiaro a tutti. Questa politica gli serve a nascondere le deficienze dell’economia e mantenere alto il suo indice di popolarità.

Tuttavia, con Putin l’America ha anche molti interessi in comune, dalla lotta al terrorismo islamico al contenimento dell’espansionismo cinese che minaccia non solo il Mar Cinese meridionale ma anche l’Estremo oriente russo. Un riavvicinamento avrebbe perciò senso per entrambi. Molto, certo, dipenderà dall’esito delle imminenti elezioni presidenziali, dove Trump non esita a manifestare la sua ammirazione per lo Zar mentre la Clinton appare più schierata con i falchi.

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