«Rispettate la vita, è unica
Ve lo dice Gio, il mio sognatore»

Antonella è la vedova di Massimo Scanzi e mamma di Giovanni, entrambi morti in seguito a un investimento nella mattinata dello scorso 1 settembre a Lallio, mentre attraversavano la provinciale. In occasione di questi giorni di festa ha scritto una storia di Natale che parla del figlio (nato il giorno di Natale), dal titolo «Il sognatore», e che abbiamo pubblicato sul giornale e ora anche on line.

Sono la mamma di Giovanni e vorrei raccontarvi la sua storia, del giovane cuoco di 24 anni nato il 25 dicembre 1993, a cui è stata spezzata la vita il primo settembre 2018, insieme a quella di suo padre che l’ha raggiunto dopo soli sei giorni. Vorrei scrivere di lui perché Gio amava molto il suo lavoro, era la sua passione e voleva imparare sempre di più, a costo di tanti sacrifici e pochi soldi.

Aveva frequentato l’Ipssar di San Pellegrino Terme e la sperimentazione dell’alternanza scuola-lavoro l’aveva portato presto in giro per varie cucine, con diversi compagni, professori e cuochi quasi mai tranquilli e comprensivi anzi, spesso nervosi e frenetici.Gio di fronte alle ingiustizie rimaneva male, a volte si arrabbiava e avrebbe voluto reagire con forza, ma poi rifletteva e aveva la grande capacità di prendere le distanze dallo scontro e trovare una soluzione pacifica per tutti.

Durante gli anni della prima adolescenza aveva giocato a calcio; durante una partita l’arbitro gli aveva detto: «Ragazzo, sei troppo educato per fare il calciatore!» e lui indovinate che aveva fatto da lì a poco… il corso di arbitro, come gli aveva consigliato la sua professoressa di educazione fisica. Oltre la scuola quindi altri impegni, viaggi, esami fino ad arbitrare in due anni parecchie partite e guadagnare i suoi primi soldini. Lo accompagnava sempre il suo papà e quando io mi preoccupavo degli insulti e degli sbeffeggi dagli spalti, Gio mi rassicurava così: «Lasciali urlare mamma, perché ora sono io che decido!».

È stata un’esperienza molto importante che l’ha aiutato a credere in se stesso e preparato ulteriormente a superare i tanti ostacoli della sua professione. Conseguito il diploma dei cinque anni Gio aveva cominciato le vere e proprie esperienze di lavoro, spaziando dalle cucine di rifugi di montagna a quelle di ristoranti e di catene di vario livello. Assunto e pagato sempre come aiuto cuoco in formazione, spesso capitava che le mansioni pretese fossero superiori alle sue conoscenze e mi diceva che doveva arrangiarsi velocemente e cavarsela comunque.

Sicuramente in ogni posto imparava qualcosa di nuovo, il più delle volte era davvero dura, ma era contento del suo lavoro e spendeva volentieri i soldi della paga, anche se io brontolavo perché non riusciva a risparmiare un po’.

Comunque con la sua indole positiva tirava fuori la grinta, superava i momenti più difficili e mi parlava dello chef, dei piatti che cucinava, dei colleghi che erano diventati suoi amici e con i quali si trovava bene e poi mi diceva: «Sono distrutto» e appena poteva si faceva delle grandi dormite.

A volte, si confidava con me o con la nonna e se lo vedevamo troppo amareggiato, gli dicevamo: «Ricorda Gio che non sei figlio di nessuno e non sei “un nuovo schiavo”, perciò quando ti senti ferito dentro, vattene da lì». Così lui faceva, quando non si sentiva più rispettato come persona, dava i giorni e se ne andava. E non è mai rimasto senza lavoro, perché la buona educazione e la serietà professionale erano la sua carta d’identità.

Ha scattato selfie con Cracco e Papu Gomez proprio perché era gentile e sapeva conquistare le persone. Finalmente questa primavera era arrivato nel posto giusto, con il contratto a tempo indeterminato in un noto bar- ristorante di Bergamo, dove l’aveva chiamato lo chef Simone, suo grande amico fin dall’infanzia. Era felice. Loro due insieme avevano fatto subito nuovi progetti sulla gestione della cucina, sulla nuova disposizione, sul menù d’autunno e tante altre idee sul lavoro tutto da inventare e sperimentare, in tandem con il gruppo di giovani colleghi.

Un buono stipendio giustamente dignitoso, il tempo libero degno di essere vissuto con amicizia e divertimento, tante attività da programmare, e sempre un pensiero ai suoi famigliari. Da lì i sogni della vita che cominciavano a prendere forma, subito la patente della moto, aveva l’esame di guida il sabato successivo alla sua morte, un finanziamento per acquistarla, la sistemazione dell’auto e poi in futuro una casa per conto suo, il lupo cecoslovacco, la fidanzata, la famiglia, un locale suo e di Simone, i viaggi per imparare nuove cucine e altro ancora.

Eh sì, Giovanni era un sognatore, ma lavorava tanto per realizzare i suoi sogni. Durante la minivacanza premio con Simone, a fine agosto, in un superalbergo ristorante del Trentino, gli ultimi giorni della sua vita, mi ha inviato le foto di loro due elegantissimi e orgogliosi a tavola, davanti a piatti e vini pregiati. Era davvero felice. Mentre era là gli sono arrivati a casa il distintivo e la tessera di Cuoco Italiano, di cui era fiero.

Il distintivo l’ho incollato sul taschino della sua giacca blu e mentre lo accarezzavo, sembrava mi sorridesse. La tessera rimane a me come un caro ricordo e la rivista Il Cuoco, che è arrivata il giorno dopo il suo funerale, mi ha suggerito questa storia. Gio è stato ammazzato insieme a suo padre nell’istante in cui finiva l’attraversamento della strada, alle nove e trenta di un sabato mattina, mentre andava a ritirare la sua auto finalmente pronta in carrozzeria con i contanti per pagare, faticosamente guadagnati.

E poi via, sarebbe andato al ristorante per il turno del mattino. Li ha investiti e uccisi un individuo poco più che trentenne, distratto chissà da che cosa, mentre in auto faceva di tutto fuorché guidare con attenzione e prudenza. I suoi due amici del cuore, Simone e Simone lo hanno vegliato in continuazione, con altri ragazzi e famigliari, Gio non è mai stato lasciato solo. Tanti al suo funerale lo hanno pianto e ricordato per la disponibilità, la sensibilità, la generosità verso tutti e per la sua istintiva e coinvolgente simpatia.

Il mio mondo, quello di suo fratello, dei suoi amici più cari, della nostra famiglia è cambiato nell’istante in cui lui e suo padre sono morti. Ma per il suo venticinquesimo compleanno nel giorno di Natale, Gio, attraverso questa storia, vuole fare un grande augurio a tutti. Ricordare che la vita di ciascuno è unica, importante e preziosa, che si può essere più attenti alla vita degli altri, più rispettosi e sensibili verso il prossimo, ma soprattutto che le persone cerchino di non essere così spesso preda della distrazione e dell’emulazione ormai così abituali da uccidere troppo frequentemente il corpo e l’anima.

Giovanni era un sognatore e i sogni che nella sua mente aveva già reali, così rimarranno per sempre. A voi giovani donne e uomini che forse leggerete questa storia il mio più grande augurio è di vivere la vita con grande cura, perché i vostri sogni diventino davvero realtà. Buon Natale.

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