A quando il «SalvaNapoli»?

di Giorgio Gandola

Così arriva il decreto Salvaroma, anzi il salvagente al quale la capitale più spendacciona del pianeta si aggrappa per evitare il fallimento.

Così arriva il decreto Salvaroma, anzi il salvagente al quale la capitale più spendacciona del pianeta si aggrappa per evitare il fallimento. L’Urlo aveva già lanciato l’allarme qualche tempo fa, anche perché i 500 milioni che il Parlamento regala al sindaco Marino sono un palliativo davanti alla voragine di 10 miliardi di debiti pregressi.

Dieci miliardi, vale a dire il deficit di un piccolo Stato, non di una città. Ricordiamo con amarezza che una parte consistente di questo passivo si deve all’Atac, il trasporto pubblico, che perde circa un miliardo e che da quando esiste non ha mai fatto registrare un bilancio in attivo. Dei buchi nelle finanze romane molta responsabilità hanno due campioni rottamati della sinistra al caviale, Francesco Rutelli e Walter Veltroni, scialacquatori per gigantismo e per quieto vivere. Ma l’Atac è un feudo di Gianni Alemanno, che durante il suo mandato ha visto assumere dall’azienda 850 persone.

Una parentopoli imbarazzante per la quale l’ex sindaco è sotto inchiesta e durante la quale a un dirigente capitò di assumere come segretaria una signorina cubista. A differenza di Alessandria (lasciata fallire), Roma viene salvata senza alcun merito. Ma il problema vero è un altro: Napoli è in una situazione analoga, perde un miliardo, la Corte dei conti ha bocciato il progetto di ristrutturazione del debito. E il sindaco De Magistris ha già invocato un decreto Salvanapoli. Mentre le nostre città virtuose si vedono congelare i risparmi dal patto di stabilità (a Bergamo sono 80 milioni), le cicale dell’Italia fanno la questua. Utilizzare i pochi soldi che restano per pagare i loro debiti è una pessima idea.

© RIPRODUZIONE RISERVATA