Ombre tedesche

Ha perso. Frau Merkel è uscita piegata dalla mini tornata elettorale in tre lander tedeschi di primo livello (Sassonia, Renania, Baden-Württemberg) nonostante nelle ultime settimane avesse scelto il silenzio sulle due questioni dirimenti d’Europa: i profughi e la crisi d’identità dell’Unione.

Ha perso per la prima volta, tra l’altro anche a casa sua, in quell’Est riunificato e meno ricco della Baviera o del Supernord industriale. Ha perso a favore della destra nazionalista e - sarà paradossale ma è così - dei Verdi di Winfred Kretschmann, votati all’accoglienza ma ideologicamente più coerenti. Paga per l’eccesso di leadership a Bruxelles, che negli ultimi anni (a detta dei suoi elettori) l’avrebbe allontanata dal rappresentare gli interessi del suo popolo. Il segnale è importante, nessuno è contento di questa Europa senz’anima.

Nè gli Stati del Sud come Italia e Grecia, costretti a fare direttamente i conti con gli enormi problemi dell’immigrazione e con i contabili dei decimali economici domiciliati a Bruxelles. Nè la locomotiva tedesca, impegnata a metabolizzare con fatica le mosse economiche di Draghi, percepite come vessatorie per le banche germaniche, che s’erano fatte salvare da Berlino quando ancora era possibile e adesso vorrebbero continuare a dettar legge sul mercato. Anche Deutsche Bank e Commerzbank, nonostante i buchi di miliardi e i titoli tossici in pancia.

Le piccole elezioni tedesche hanno detto una cosa: l’Europa senza politica non convince nessuno, neppure i più forti. Davanti a sfide decisive come quelle dell’ondata migratoria, della Libia, del terrorismo, della speculazione monetaria, servono idee più che regole. E soprattutto serve la coesione culturale che i padri fondatori auspicavano. E va oltre le tattiche speculative del nano Juncker.

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