Preghiere e F18

di Giorgio Gandola

Una bimba con un vestitino rosa dorme per terra, spossata dal viaggio. Un bimbo con i calzoncini verdi e il ciuccio appeso al collo è rannicchiato nel grembo della mamma, precipitata nel sonno dopo la grande traversata nel mare di pietre e vento.

Una bimba con un vestitino rosa dorme per terra, spossata dal viaggio. Un bimbo con i calzoncini verdi e il ciuccio appeso al collo è rannicchiato nel grembo della mamma, precipitata nel sonno dopo la grande traversata nel mare di pietre e vento.

Nella piana di Ninive, mentre l’estate irakena tocca i 40 gradi, si compie il destino di centomila cristiani, perseguitati, minacciati e infine scacciati, sradicati dal loro passato e dalla loro storia, costretti a cercare una terra neppure promessa (ricorda qualcosa?) verso le pietraie del Kurdistan, dove un altro popolo vessato nei secoli potrebbe accoglierli con favore. O almeno senza ostilità.

«Hanno bruciato tutte le chiese, hanno distrutto i manoscritti medievali della nostra Fede», spiega il patriarca caldeo di Kirkuk, Louis Sako. L’avanzata delle milizie islamiche sembra inarrestabile, il mito del Califfato d’Iraq e Siria è a portata di mano e 12.000 fanatici armati fino ai denti hanno pianificato la conquista nel nome della guerra santa contro l’infedele.

Siamo alle solite. Tutto questo a spese dei cristiani, degli occidentali, delle altre minoranze, dei bambini e della convivenza pacifica. Già, anche laggiù nella piana di Ninive ci sono bambini che soffrono, che muoiono, che scappano, che chiedono alla mamma «perché?».

Di una cosa siamo certi: mai verranno usati come scudi umani. Venerdì Papa Francesco ha chiesto al mondo di «fermare il dramma umanitario», l’Onu ha convocato una riunione operativa, Obama ha predisposto un piano di aiuti ai cristiani in fuga e ordinato raid mirati per «evitare il genocidio». A me non dispiace affatto che a difendere quei bambini, oltre alle preghiere, ci siano gli F18.

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