Tengo famiglia

«Mio fratello è figlio unico» cantava Rino Gaetano. Sarebbe già un buon consiglio per chi vuole entrare in politica in Italia. L’esperienza di questi ultimi anni è decisiva: se non si vogliono passare guai non bisogna avere parenti.

Nel Paese più mammone del mondo il compito non è semplice, ma più della competenza, più della dialettica, più della strategia, è l’anagrafe a fare la differenza. Vietati i figli, che hanno procurato non pochi guai all’ex ministro Maurizio Lupi (il Rolex), a Umberto Bossi (la laurea del Trota e i soldi a Riccardo) e anche al super magistrato Di Pietro. Sconsigliate le mogli: quella di Mastella fece cadere il governo Prodi, quella di Berlusconi diede il via allo scandalo delle olgettine. Bisognerebbe stare lontani anche dai padri, visto che il genitore di Renzi è stato indagato e quello della Boschi è al centro della bufera di banca Etruria.

Una categoria pericolosa sono i fidanzati: ne sanno qualcosa il ministro Guidi (faccenda di due giorni fa) e pure Gianfranco Fini, politicamente bruciato dal fratello della compagna Elisabetta Tulliani, scoperto a Montecarlo nella famosa casa arrivata a lui dal partito. Che gli zii non siano gentiluomini lo teorizzava già Woodehouse, ma Nunzia De Girolamo non lo sapeva e per colpa di zio Franco (che aveva ottenuto in appalto il bar dell’ospedale di Benevento) ha fatto le valigie dal ministero dell’Agricoltura. Restano gli amici? Neanche per sogno direbbe Annamaria Cancellieri, fatta a pezzi da una telefonata intercettata con mamma Ligresti che chiedeva interessamento per la figlia appena arrestata.

L’elenco è impressionante, il «tengo famiglia» come ideale frase da inserire nel tricolore non regge più. Giusto così. Ma continuare a dire che in Italia non si dimette mai nessuno non è propriamente esatto.

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