Triglie alla livornese (2)

di Giorgio Gandola

La caduta di Livorno sta diventando per il centrosinistra ciò che la caduta di Saigon fu per gli americani in Vietnam. E l’analisi è passata dal fronte elettorale a quello sociologico con accenti molto interessanti. I numeri parlano chiaro.

La caduta di Livorno sta diventando per il centrosinistra ciò che la caduta di Saigon fu per gli americani in Vietnam. E l’analisi è passata dal fronte elettorale a quello sociologico con accenti molto interessanti.

I numeri parlano chiaro: Renzi aveva preso il 53% due settimane prima alle Europee, il Pd locale legato a doppio filo al conservatorismo degli apparati ha preso una legnata storica due settimane dopo alle amministrative, lasciando il comando della roccaforte rossa al candidato grillino Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale.

Morale: i livornesi hanno colto perfettamente il corso riformista del premier ma anche la vena vetero conservatrice di chi predica bene e razzola molto male sul territorio: qui alle ultime primarie aveva fatto il pieno Cuperlo, oltre il cinquanta per cento dei consensi. Un territorio che anche per l’immobilismo per Pd negli ultimi due anni ha perso il 20% del traffico del porto e il 18% del business crociere (Civitavecchia e La Spezia brindano).

Le privatizzazioni tanto sbandierate non decollano, i veti sindacali restano granitici, i portuali e gli ultrà della squadra di calcio inneggiano a Lenin. Così Livorno ha detto no all’Ikea (che per sfregio ha aperto a Pisa) e a Esselunga. Non ha appaltato il restauro dei suoi gioielli architettonici e non ha costruito una classe dirigente produttiva.

Del resto a che serve se l’unico obiettivo è quello di garantire lo status quo? Il tasso di disoccupazione è del 14% rispetto al 9% della Toscana, quello dei giovani è al 36,7%. Lampi di Germania Est con un mare migliore. Poi, un bel giorno, entrando nell’urna la gente ha detto basta.

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