Triglie alla livornese

di Giorgio Gandola

Triglie alla livornese. I dirigenti del Pd si sono alzati con gli occhi sbarrati dopo la Waterloo elettorale ai ballottaggi. Travolti dalla vittoria inaspettata del candidato grillino, hanno perso la roccaforte dell’ortodossia, la città in cui era nato il Pci.

Triglie alla livornese. I dirigenti del Pd si sono alzati con gli occhi sbarrati dopo la Waterloo elettorale ai ballottaggi. Travolti dalla vittoria inaspettata del candidato grillino, hanno perso la roccaforte dell’ortodossia, la città in cui era nato il Pci, il luogo sacro del sol dell’avvenire dove - anche nel 2014 - vigeva la regola del partito e della sua scuola.

Fino a ieri poco prima dell’alba, quando un ingegnere aerospaziale che si diverte a farsi fotografare con una pantera rosa di peluche ha mandato in pensione la bandiera rossa dopo 67 anni di dominio sul porto e sulla fortezza.

A Livorno è accaduto qualcosa che fa riflettere: il vecchio Pd, quello della distribuzione dei posti di potere, quello dei distinguo ideologici, quello dell’immobilismo come strategia, quello del sindacato custode della conservazione, quello dei Bersani, Cuperlo, D’Alema, Civati non si usa più.

Perché Livorno (esattamente come Perugia) è una città nella quale il vento renziano non è mai entrato. Il controllo totale degli apparati ha fatto sì che Renzi (alle Europee) prendesse il 52,3% da solo, uno dei dati più clamorosi mai ottenuti, ma che il partito fosse castigato duramente alle amministrative. Perché sul sindaco non si scherza.

Lo scenario della politica italiana sta davvero cambiando e la parola rottamazione non dovrebbe più far paura. Chi non l’ha usata per non disturbare la statua di Lenin - come è accaduto a Livorno - adesso deve fare i conti col Grillo rinvigorito. Che di solito, alle ideologie, di sconti non ne fa.

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