Cornacchia ha trovato l'America
Dirige il vivaio del Colorado Rush

Te la do io l'America. Un conto infatti è girare mezza Italia, da Torino a Napoli, dalla Toscana a Cagliari, da Bergamo ancora a Napoli per finire la carriera in Romagna: se sei un calciatore e il posto fisso non ce l'hai, lo metti nel conto, è normale cambiare maglia.

Te la do io l'America. Un conto infatti è girare mezza Italia, da Torino a Napoli, dalla Toscana a Cagliari, da Bergamo ancora a Napoli per finire la carriera in Romagna: se sei un calciatore e il posto fisso non ce l'hai (a meno che non diventi una bandiera), lo metti nel conto, è normale cambiare maglia.

Finchè... prendi armi e bagagli e ti trasferisci con la famiglia a 8.500 chilometri da qui. Proprio un altro mondo: il Colorado, quello vero, non il nome di un programma di comici in tivù: «Questo è uno dei luoghi più belli degli Stati Uniti. Siamo a duemila metri in mezzo a montagne e foreste, non lontano da qui è appena scoppiato un incendio, col clima secco di questo periodo...».

Ma va, anche lì? All'altro capo del filo parla Carlo Cornacchia, all'Atalanta vent'anni fa, ora capoallenatore delle giovanili al Colorado Rush. Perché proprio lì? Scelta di vita? Spiega Cornacchia: «Mia moglie è americana, ma è lei che ha seguito me. Io vivevo in Italia con moglie e due figlie, ma non allenavo a tempo pieno, sono laureato in fisioterapia e avevo un'attività con amici per la riabilitazione dei giocatori, una collaborazione con la squadra di basket di Reggio Emilia».

Però qui c'è molto entusiasmo per il calcio e io amo molto le sfide, per cui nel 2004 ho deciso di trasferirmi. E poi scusate, la vita non è un granchè di questi tempi, ma se vivi qui è più bello». «Qui i ragazzi stanno facendo passi da leone», dice proprio così Cornacchia «e io porto la mia esperienza dall'Europa, il mio modo di vedere il calcio.

I ricordi vanno anche a quella tripletta storica contro il Foggia, tre gol, tutti di testa, tanti come quelli segnati da Denis contro la Roma. Cornacchia sorride: «Situazione strana quella volta, probabilmente era il mio giorno fortunato quel 12 aprile 1992 contro il Foggia».

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