Coppa Italia, Nielsen: «Ho pianto
rivedendo in curva la nostra foto»

Non è un opinionista come se ne vedono e sentono tanti in tivù. Lui scriveva anche quando giocava, inviando in Danimarca il commento al campionato italiano e ha smesso di fare il giornalista dieci anni fa, per il «Politiken».

Non è un opinionista come se ne vedono e sentono tanti in tivù. Lui scriveva anche quando giocava, inviando in Danimarca il commento al campionato italiano e ha smesso di fare il giornalista dieci anni fa, per il «Politiken». Flemming Nielsen è uno dei grandi protagonisti di quell'Atalanta che vinse la Coppa Italia, cinquant'anni fa.

Sembra ieri, Nielsen. Vero?
«Ah sì, quando ci penso... Un'emozione grandissima, l'Atalanta che vince la Coppa Italia: abbiamo fatto sensazione, era una bella squadra, eravamo tutti amici».

E nemmeno favoriti.
«Infatti, il Torino aveva giocatori di gran classe, ricordo Hitchens, Peirò, c'era anche Bearzot. Ma noi abbiamo vinto ribaltando anche il pronostico».

Come siete riusciti? Che indicazioni vi aveva dato l'allenatore?
«Eh Tabanelli era stato, come si può dire, un po' filosofo, ma ci aveva caricato: "Ragazzi, ricordatevi che si può vincere e si può anche perdere, però dovete avere fiducia, dovete crederci". Perché non era un'impresa impossibile, noi... se penso alla finale di Champions di pochi giorni fa, eravamo un po' come il Borussia Dortmund, contro il Bayern favorito».

L'Atalanta cosa significa anche oggi per lei?
«Cuore e batticuore, quando vedo i colori nerazzurri. Seguo sempre il campionato e... mi sono commosso quando, rivedendo in tivù l'ultima partita con il Chievo, è comparso in curva un quadro gigante di tela, la fotografia della nostra squadra con la Coppa Italia. E mi sono messo a piangere».

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