Covid, l’analisi: «La discesa frena, serve più attenzione»

I dati Nonostante gli indicatori buoni, Davide Tosi (Università dell’Insubria) sottolinea come i contagi si riducano meno delle scorse settimane anche per i comportamenti più rilassati: «Ripartenza possibile, ma non è liberi tutti».

La traiettoria è ancora quella della discesa, come ormai da quasi 50 giorni consecutivi. Lunedì 11 gennaio l’incidenza del contagio – cioè l’indicatore che esprime la circolazione virale – raggiungeva il picco in Lombardia, volando a 2.726 nuovi casi settimanali ogni 100mila abitanti: ieri era invece a 322 nuovi casi settimanali ogni 100mila abitanti, dell’88,2% inferiore rispetto a quel pantagruelico climax scalato a causa di Omicron. Ma la discesa ha rallentato decisamente, nell’ultimo periodo. Basta riavvolgere i dati: la settimana appena conclusa ha registrato un calo dell’incidenza del 12,79% rispetto alla precedente; domenica 20 febbraio il calo settimanale era del 29,22% rispetto alla precedente; domenica 13 febbraio il calo settimanale s’attestava al 40,12%; domenica 6 febbraio il calo era del 40% tondo tondo.

La spiegazione

«Tutti gli indicatori epidemiologici sono buoni», premette Davide Tosi, professore associato del Dipartimento di Scienze teoriche e applicate dell’Università dell’Insubria e divulgatore nell’analisi dei dati Covid tramite il progetto «Predire è meglio che curare», «ma c’è stato un chiaro rallentamento della velocità di discesa della curva dei contagi: se andiamo a guardare i contagi normalizzati sui tamponi molecolari, che sono quelli più legati al tracciamento per i casi sospetti, il rallentamento è netto». Il dettaglio territoriale della Lombardia consolida la sensazione di frenata, pur con situazioni a macchia di leopardo. Bergamo nell’ultima settimana ha levigato l’incidenza con un -24,91%, il calo ancora più forte tra le diverse province della regione; ma domenica 20 febbraio la discesa settimanale dell’incidenza bergamasca era al 33,63%, il 13 febbraio al 43,48%, il 6 febbraio al 42,56%. Ieri, tra l’altro, per la prima volta dall’inizio della discesa è tornata a crescere – seppur di poco – l’incidenza di alcuni spicchi della Lombardia: Cremona chiude la settimana con un aumento dei contagi dell’1,38%, Sondrio registra un +0,38%, Varese +2,39%.

Cosa c’è alla base di questo rallentamento? «Un insieme di fattori – ragiona Tosi –. C’è un aspetto fisiologico, cioè tipico dell’andamento delle curve delle epidemie. Ma c’è anche un aspetto psicologico, che si lega poi ai comportamenti: è stato fatto passare da molti scienziati che la pandemia sia ormai finita e che Omicron sia un raffreddore, e così la popolazione è tornata a vivere quasi senza accortezze. Ma un minimo di responsabilità e attenzione ci dovrebbe ancora essere. Il tracciamento si sta peraltro un po’ perdendo: il tasso di positività è ancora attorno al 10% su scala nazionale, un valore alto, che indica che il contagio c’è ancora».

La pressione ospedaliera si allenta

A compensare i dubbi ci sono altri numeri, di fiducia: la pressione ospedaliera si allenta sempre più, e con un buon ritmo. Nell’ultima settimana i pazienti nelle Terapie intensive lombarde sono diminuiti del 36,18%, nei reparti ordinari la contrazione è stata del 20,32%. Anche i decessi flettono: -16,14% rispetto alla settimana precedente. Anche in provincia di Bergamo l’indicatore più doloroso, quello delle vittime del virus, s’è attenuato: negli ultimi sette giorni il virus ha spento 14 vite, con un calo del 54,84% rispetto alle 31 della settimana precedente; la media mobile dei decessi è ora scesa a 2 vittime del virus al giorno, non era così bassa dall’11 gennaio.

La ripartenza

Dunque, ci possiamo permettere la ripartenza? «Possiamo permettercela – risponde Tosi –, certo mantenendo delle attenzioni. Il problema dell’Italia è che si oscilla tra estremi: a volte troppo “chiusuristi”, a volte troppo “aperturisti”. Ma possiamo guardare ai prossimi mesi con serenità, perché la situazione sta evolvendo positivamente».

«Se guardiamo i dati relativi solo alla popolazione non vaccinata, la letalità è la stessa. Il virus è comunque mutato e Omicron è più mild (blanda, ndr), ma non è un raffreddore: lo è per chi è vaccinato con la booster».

La svolta nello scenario poggia sulle certezze della vaccinazione e su una copertura superiore al 90%, rafforzata dalle alte adesioni alla terza dose. «Siamo entrati in una nuova fase della pandemia grazie alla vaccinazione, e non per via di Omicron – specifica Tosi –. Omicron è comunque significativa: considerando che Omicron è nettamente predominante dai primi di gennaio, i decessi che vediamo ora (1.571 in tutta Italia la scorsa settimana, di cui 265 in Lombardia, ndr) sono da imputare a Omicron. Se guardiamo i dati relativi solo alla popolazione non vaccinata, la letalità è la stessa. Il virus è comunque mutato e Omicron è più mild (blanda, ndr), ma non è un raffreddore: lo è per chi è vaccinato con la booster». A proposito di vaccinazione, raggiunta una copertura più alta ora è complicato coprire l’ultimissimo miglio. «Siamo sostanzialmente arrivati a regime di quella che è la popolazione vaccinabile – sintetizza il professore –. È molto difficile convincere chi non si è vaccinato finora. L’effetto del Green pass, una misura più politica che scientifica per indurre la popolazione a vaccinarsi, si è esaurito».

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